Formazione
Care scuole, non si promuove un alunno con disabilità se non è stato raggiunto quanto previsto nel PEI
In Sicilia una ragazza con disabilità è stata ammessa agli esami di terza media, anche se in realtà gli obiettivi necessari per affrontare il passaggio non erano stati raggiunti. La famiglia ha fatto ricorso e il Consiglio di Giustizia Amministrativa ha riconosciuto l'interesse dell'alunna a ripetere l'anno. Sotto accusa in particolare la mancanza nel PEI degli indicatori di esito. Speziale (Anffas): «un segnale forte per le scuole e per il Miur»
Sempre più spesso ormai i genitori impugnano la bocciatura di un figlio. In questo caso invece – per la prima volta in Italia – ad essere stata impugnata è l’ammissione agli esami di terza media (scuola secondaria di primo grado) di una quattordicenne con disabilità, peraltro con un bel 7/10. E il Consiglio di Giustizia Amministrativa di Palermo la settimana scorsa, con ordinanza cautelare (la n. 18/2019) che ha modificato quanto stabilito in prima battuta dal Tar Catania, ha considerato che l’ammissione agli esami di terza media decisa l’estate scorsa fosse illegittima e che l’alunna con disabilità dovesse lasciare il liceo che intanto aveva iniziato per tornare in terza media in modo così da completare la sua preparazione e raggiungere davvero quegli obiettivi – in termini di competenze ma anche di autonomie e modalità di relazione – che le sono necessari per poter “volare” con sicurezza nella nuova scuola e iniziare una nuova fase della sua vita. Gli stessi avvocati, che tra il primo ed il secondo giudizio cautelare hanno sostenuto la ragazza e i suoi genitori in questa battaglia, hanno sempre ricordato in questi mesi l’insegnamento di don Milani: «Quando avete buttato nel mondo d’oggi un ragazzo senza istruzione, avete buttato in cielo un passerotto senza ali».
Per S., la ragazza con disabilità, la vicenda è e resta complicata e paradossale – non è così scontato tornare in terza media dopo quattro mesi dall’inizio dell’anno scolastico in una scuola nuova – ma i genitori avevano ben chiara la battaglia da portare avanti per la propria figlia e per tutti i ragazzi con disabilità: garantire col PEI uno strumento di programmazione di reali e concreti percorsi di acquisizione di competenze, che orienti la didattica lungo l’intero anno scolastico e che misuri l’effettivo andamento del raggiungimento degli obiettivi posti, per arrivare alla fine dell’anno con una chiara valutazione degli apprendimenti e delle competenze raggiunti e di quelli, viceversa, da rinforzare. L’inclusione scolastica vera infatti passa dal far capire alle scuole che anche gli alunni con disabilità hanno il diritto di fare un percorso di crescita, come tutti, senza essere “parcheggiati”, né al contrario essere promossi solo per “uscire” il prima possibile. E che non si può essere superficiali nella valutazione del raggiungimento degli obiettivi, perché le competenze raggiunte sono i mattoni per affrontare il successivo step del percorso formativo ed educativo. L’interesse a ricorrere anche contro una promozione, apparentemente paradossale, quindi c’era eccome: era l’interesse di S. a ripetere la classe III, vista le necessità per il suo ulteriore percorso di raffinare alcune autonomie e poter così fare l’anno dopo un salto consapevole.
La vicenda è questa. S. è una ragazzina di 14 anni, con una disabilità intellettiva importante, ritardo grave in tutti gli ambiti dello sviluppo e con compromissione nella comunicazione. Vive in provincia di Enna. Ha iniziato le scuole alla stessa età di tutti i suoi compagni ed è arrivata in terza media insieme a tutti i suoi compagni, senza mai una ripetenza o essere stata fermata. Spesso succede che le famiglie chiedano di fermare il figlio con disabilità, anche più volte, soprattutto quando realizzano che oltre la scuola rischi di esserci “il nulla” ed, anzi, proprio per evitare queste dinamiche col decreto legislativo n. 62/2017 è stato previsto che l’alunno con disabilità ammesso all’esame al termine del primo ciclo, anche qualora non si presenti e non sostenga l’esame, abbia il credito formativo e passi alle scuole superiori. Ma non è questo il caso di S., che a 14 anni era in terza media. Il punto della vicenda è che il consiglio di classe della sua scuola la ammette all’esame perché valuta raggiunti gli obiettivi che nel PEI (progetto educativo individualizzato) erano stati prefissati per lei, ma che in realtà non erano stati per nulla raggiunti. Intanto perché nel giudizio finale i livelli di raggiungimento degli obiettivi presi a riferimento per la promozione erano più bassi ed in parte diversi rispetto a quelli prefissati all’inizio dell’anno scolastico col PEI, ma anche perché tutta una serie di test e scale dimostrano che S. non ha raggiunto gli obiettivi previsti dal PEI nelle aree cognitiva, sensoriale, di comunicazione e relazionali e perché addirittura c’è discrepanza tra la valutazione del consiglio di classe per l’ammissione all’esame e la certificazione delle competenze conseguite dalla ragazza.
Scatta quindi, durante la scorsa estate, il ricorso contro la scuola frequentata da S. e contro il Miur da parte degli avvocati Gianfranco de Robertis, Ettore Nesi e Alberto Caruso, che da subito hanno evidenziato come nel PEI avrebbero dovuto essere indicati oltre agli assi di intervento, obiettivi ben chiari da raggiungere, la precisa definizione delle azioni per raggiungere quegli obiettivi e soprattutto gli indicatori di esito (cioè gli indici) con cui rilevare e misurare il raggiungimento degli obiettivi, nonché le metodologie con cui monitorare l’andamento del PEI e valutarne i risultati anche in corso d’anno, così da garantire interventi esattamente congruenti con quanto programmato e concretamente utili al percorso dell’alunna.
Il PEI di S. al contrario è risultato assolutamente carente proprio degli elementi per monitorare e valutare oggettivamente l’attuazione dello stesso, rendendo quindi assolutamente vana una concreta, oggettiva e misurabile restituzione in termini di raggiungimento dei vari obiettivi. Ad esempio si parla di “griglie di osservazione” per registrare il raggiungimento degli obiettivi per le “attività inerenti all’area dell’autonomia” ma tali griglie non sono mai state predisposte, tant’è che non ve n’è traccia documentale. Il PEI di S. per gli avvocati è insomma troppo generico, «un coacervo indistinto di formule di stile del tutto generiche ed avulse dai bisogni della medesima», scrivono, e di conseguenza «illegittimo per carenza di elementi essenziali per l’intero suo valore». E illegittima è anche la valutazione che su di esso ha poggiato. L’interesse di S. quindi è quello di «essere trattenuta ancora almeno per un anno nella stessa scuola media con rigorosa applicazione del programma educativo a suo tempo predisposto», ricordando che «la misura della ripetenza, nel caso in cui non si sia perfezionato il processo di inclusione scolastica dello studente con disabilità, costituisce una misura ordinaria di inclusione scolastica».
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa di Palermo, su ricorso in appello patrocinato dall’Avv. Gabriella Deplano, è andato a modificare quanto statuito in prima battuta dal Tar Catania, accogliendo le istanze che sin dal primo grado erano state portate avanti in maniera puntuale da tutti gli avvocati. In sostanza, l’ordinanza conferma – uscendo dal giuridichese – che è illegittima una promozione che non si basi su una valutazione agganciata a un PEI ben fatto, che definisca degli obiettivi chiari e il percorso per raggiungerli, indicando le modalità dell’attuazione ma anche le verifiche e le tappe intermedie. Solo così il percorso didattico ed educativo potrà procedere con obiettivi chiari ed essere effettivamente un percorso di crescita e l’inclusione scolastica un’inclusione di qualità.
«È una vicenda che dà un segnale forte al mondo della scuola, specie in settimane in cui il Miur sta lavorando sui provvedimenti attuativi della “Buona Scuola”, concentrandosi su come concretamente rendere il PEI un vero strumento di garanzia per un percorso di crescita e di sviluppo delle competenze degli alunni con disabilità, partendo dall’analisi del profilo di funzionamento di ciascun alunno», commenta Roberto Speziale, Presidente Nazionale di Anffas Onlus e componente anche dell’Osservatorio Permanente per l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità presso il Ministero. «Come Anffas, anche attraverso la Fish (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) cui aderiamo, stiamo chiedendo in maniera ferma che l’Osservatorio venga investito di ogni minimo dettaglio della costruzione dei nuovi modelli di profilo di funzionamento e di PEI, ma anche che, insieme, in tale sede istituzionale, si individuino chiari indicatori di processo, di struttura e di esito per valutare non solo i percorsi dei singoli alunni con disabilità, ma il carattere inclusivo degli istituti scolastici e quindi dell’intero contesto in cui si muovono i nostri figli. Credo che con questo storico provvedimento il Miur non potrà non ascoltarci, pena il rischio di un forte arretramento rispetto ai valori di partecipazione, di uguaglianza e pari opportunità degli alunni con disabilità, tanto decantati da oltre 40 anni nel nostro Paese».
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