Non profit

Care non profit, imparate a “misurare” i donatori

Consigli del mestiere

di Valerio Melandri

Senza ombra di dubbio i donatori non vogliono “comprare” qualcosa, ma vogliono aiutare un bambino che ha bisogno, oppure chi è stato vittima di un terremoto o chi ha contratto malattie mortali. Ai donatori, però, non viene data quasi mai la possibilità di dare un giudizio sulla qualità dei servizi offerti da un’organizzazione nonprofit, per cui l’unico giudizio che possono dare è sulla propria esperienza di donatori. Le non profit, però, non devono misurare la qualità dei servizi che erogano (anche quello, ma ai fini del fundraising è molto meno importante) bensì l’opinione dei donatori. Perciò è necessario creare un’unità di misura adatta che tenga in considerazione veicoli, contenuti, stile e tono della comunicazione, tutti i modi in cui un donatore può mettersi in contatto con l’organizzazione, in che modo affrontare i problemi che sorgono o le lamentele e, per quanto riguarda i soci, i giudizi sui benefici che vengono offerti.
Una volta presi in considerazione questi aspetti, è possibile calcolare davvero il grado di soddisfazione. Si potrebbe pensare che la questione finisca qua e che quindi ci si possa fermare; dopotutto è stato dato un giudizio su ogni aspetto del servizio, ed è questo ciò che realmente importa. Ma non è così; questi giudizi sono senza dubbio importanti, ma non possono essere utilizzati per creare una strategia di mantenimento del donatore, almeno non da soli. Quando si prendono in considerazione solo le opinioni, si ha la tentazione di migliorare ogni aspetto del servizio che ha ottenuto una valutazione basso. Ma questo non ha senso. Occorre dare un peso ponderato a ciascun servizio, perché un conto è non avere avuto un buon risultato nel fattore “ringraziamento” e un conto è “riconoscenza per le donazioni fatte in passato”. Entrambe importanti, ma una pesa di più dell’altro. www.valeriomelandri.it

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