Analisi

Care leavers, l’autonomia dei ragazzi finalmente al centro

I sogni e le sfide dei Care leavers, i ragazzi che vivono fuori dalla famiglia di origine sulla base di un provvedimento dell’autorità giudiziaria che li ha collocati in comunità residenziali o in affido eterofamiliare. Con Federico Zullo di Agevolando facciamo il punto sul Report della Sperimentazione nazionale 2018-2023, un documento che raccoglie i dati, le testimonianze e le valutazioni di tutti i protagonisti che in questi anni di lavoro hanno partecipato al progetto

di Alessio Nisi

giovani

Una sperimentazione che ha saputo mettere a sistema le esperienze a macchia di leopardo di strumenti e progetti dedicati a coloro che al compimento della maggiore età vivono fuori dalla famiglia di origine sulla base di un provvedimento dell’autorità giudiziaria che li ha collocati in comunità residenziali o in affido eterofamiliare. I care leavers. Un progetto nazionale, quello promosso dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, in cui oltre i numeri e la declinazione geografica, emerge il bisogno di autonomia dei ragazzi, diviso tra lavoro e formazione, con la patente di guida a rappresentare uno dei desideri più grandi e con la capacità degli stessi ragazzi di farsi rappresentanti delle loro esigenze.

È questo il quadro che emerge dal Report della Sperimentazione Care leavers 2018-2023: un documento che raccoglie i dati, le testimonianze e le valutazioni di tutti i protagonisti che in questi anni di lavoro hanno partecipato al progetto. Ne abbiamo parlato con Federico Zullo, 44 anni, presidente di Agevolando: i primi ad occuparsi dei ragazzi in uscita dalle comunità, al passaggio dei 18 anni, sono stati loro.

Un’azione che ha coinvolto 17 regioni

«Per la prima volta», sottolinea Zullo, «le istituzioni, le organizzazioni, gli enti locali di 17 regioni (per un totale di 66 ambiti), una significativa rappresentanza dei territori e delle istituzioni locali nazionali, si è presa in carico questi giovani». E lo ha fatto con un approccio di sistema.

«Certo», rimarca, «questa sperimentazione non include gli ex minori stranieri non accompagnati, che per noi di Agevolando hanno gli stessi diritti degli altri ragazzi perché perché sono comunque ragazzi minorenni che vivono un percorso fuori dalla famiglia di origine, che sono soli e che a 18 anni si trovano in una condizione di svantaggio, criticità, fatica e vulnerabilità».

Secondo lo studio, “il numero maggiore di ambiti che ha aderito alla sperimentazione risultano essere le zone sociali presenti in Lombardia, in Puglia, in Umbria, in Veneto e in Campania”.

La cultura dell’accompagnamento all’autonomia

L’estensione e l’approccio sistemico del progetto ha avuto anche come conseguenza di contaminare quegli ambiti territoriali non coinvolti direttamente nella sperimentazione «con questa nuova cultura dell’accompagnamento all’autonomia». Per Zullo si tratta della «consapevolezza rispetto al fatto che dopo i 18 anni occorre prendersi la responsabilità di attivare delle risorse capaci di fronteggiare le carenze che questi ragazzi hanno nel momento in cui diventano maggiorenni e devono diventare grandi da soli».

I numeri

Secondo il report, “il numero di professionisti direttamente coinvolti dall’inizio della sperimentazione, tenendo conto anche del turnover degli operatori, è superiore alle 1.500 unità: 74 referenti e personale amministrativo a livello regionale e 274 referenti e amministrativi a livello di ambito; oltre 1.400 operatori di cui quasi 850 assistenti sociali, 243 tutor per l’autonomia e una cinquantina di altri operatori”.

Quando diventano grandi

Una consapevolezza tale che «i servizi sociali dei territori hanno iniziato a farsi delle domande, a formarsi, apprendendo nuove competenze rispetto a cosa significa non sono proteggere, curare e affiancare i minorenni fuori dalla famiglia ma anche come accompagnarli e renderli protagonisti del loro percorso nel momento in cui diventano grandi».


Significa, spiega sempre Zullo, «pensare anche agli aspetti abitativi, lavorativi, al benessere psicologico, all’inizio di un percorso universitario e al mantenimento alla gestione economica finanziaria» e a come accedere «alle risorse del territorio».

Lavoro e formazione

A proposito dei progetti individualizzati elaborati dalle équipe, si legge nello studio, progetti che seguono i care leavers nel corso del tempo, si osserva che il 56% dei care leavers ha indicato la scelta di un percorso professionale di orientamento al lavoro o inserimento lavorativo, il restante 44% un percorso di studi superiori o universitari.

Tre risultano inoltre gli obiettivi generali che nel corso del tempo, si confermano selezionati per oltre la metà dei care leavers: il potenziamento o sviluppo del benessere e il funzionamento della persona, il raggiungimento di una condizione lavorativa e occupazionale e il potenziamento di percorsi di istruzione, formazione, sviluppo delle competenze.

Altre dimensioni che caratterizzano i progetti per l’autonomia sono, con quote tra il 49% e il 41%, il raggiungimento o miglioramento della condizione abitativa, il miglioramento della condizione economica e l’esigibilità dei diritti e infine la facilitazione degli spostamenti.

La patente

Tra le sfide l’ottenimento della patente di guida e l’acquisizione e il potenziamento dell’autonomia personale e della capacità di far fronte ai problemi risultano gli obiettivi specifici maggiormente presenti nei progetti per l’autonomia, con quote intorno al 40%. «Molto spesso per spostarsi per raggiungere un posto di lavoro è necessaria la macchine e la patente. Da un punto di vista concreto è molto importante in chiave lavoro, ma anche come segnale di crescita e di indipendenza».

La governance e i tavoli di discussione

La strutturazione dei tavoli locali e di quelli regionali, mette in evidenza inoltre lo studio, la frequenza degli incontri e la partecipazione a questi di una pluralità di soggetti diversi è fondamentale per supportare i progetti di autonomia dei giovani adulti.

I tavoli, si spiega, sono occasione di partecipazione anche per i e le care leavers. La loro presenza, da un lato, permette ai partecipanti l’ascolto delle riflessioni, delle richieste e delle proposte emerse nelle Youth conference locali e in quelle regionali, allo stesso tempo i tavoli sono un’opportunità per i giovani di confrontarsi con le istituzioni e con soggetti del privato e del Terzo settore.

«I tavoli», precisa Zullo, «permettono di aggregare attorno ad un tema stakeholders e rappresentanti istituzionali che insieme pensano e cercano delle soluzioni rispetto ad un dato problema», mettendo i ragazzi nelle condizioni di «poter portare il loro punto di vista, la loro la competenza, i loro suggerimenti».

Non solo, i tavoli hanno un altro ruolo importante: diventano «strade per poter rendere la sperimentazione in un dato territorio un qualche cosa di strutturale».

In apertura foto di Luigi Estuye, LUCREATIVE® per Unsplash

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