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Care leavers: fondo o non fondo l’esperienza deve proseguire, ecco perché

Federico Zullo è presidente di Agevolando, un'organizzazione nata nel 2010 proprio sensibilizzare sui problemi dei ragazzi fuori famiglia, che al compimento dei 18 anni si trovano a dover organizzare da soli tutta la propria vita. La sua risposta al report della Corte dei conti sui sei anni di sperimentazione del fondo care leavers

di Sara De Carli

Per un fondo sperimentale (quello per il contrasto della povertà educativa) che si sta provando a salvare con gli emendamenti al Milleproroghe (qui gli emendamenti che sono stati presentati, anche se al momento la situazione è ferma), ce n’è un altro che già a fine 2023 non è stato riconfermato e le cui risorse sono ora in esaurimento: quello per accompagnare verso l’autonomia i care leavers neomaggiorenni, ossia i ragazzi e le ragazze che un giudice ha allontanato dalla loro famiglia e che – al compimento dei 18 anni secchi – escono dai percorsi di affido o dalle comunità.

La sperimentazione è durata sei annualità, con una governance molto complessa e “solo” 24 milioni di euro spesi sui 30 stanziati: la Corte dei Conti in una lunghissima relazione ha ora auspicato la fine della sperimentazione, chiedendo al legislatore di decidere se dare o meno stabilità all’iniziativa (leggi qui l’articolo di Francesco Dente). «L’anno scorso il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ci aveva rassicurato, dicendo che il fondo sperimentale non sarebbe stato rinnovato ma che le attività di accompagnamento dei care leavers sarebbero proseguite con fondi del Pon Inclusione. Ad oggi, non c’è formalizzazione di questa cosa», replica Federico Zullo, presidente di Agevolando, nominato nel 2024 Ashoka Fellow. In seno ad Agevolando, che ha seguito da vicino tutta la sperimentazione, è nato anche il Care Leavers Network.

Lo stesso fondo sperimentale di 15 milioni di euro, d’altronde, nel novembre 2017 nacque solo grazie alla advocacy di alcune organizzazioni di Terzo settore che lavoravano già con i neomaggiorenni in uscita dai percorsi di accoglienza e che trovarono ascolto nell’onorevole Emanuela Rossini.

Dopo il primo triennio 2028/2020 il fondo è stato rinnovato per il triennio 2021/2023. A ridosso della scadenza, scrivemmo anche su VITA della necessità di dare seguito a quell’esperienza. Cosa è successo poi?

Il fondo per accompagnare l’autonomia dei care leavers si appoggiava a risorse del Fondo povertà. Ci era stato detto l’esperienza avrebbe avuto seguito con altre risorse, a valere sul Pon Inclusione. Che io sappia, non ci sono novità su questo fronte, forse anche perché si era in attesa di questo report della Corte dei conti.

Il fondo quindi si è chiuso al 31 dicembre 2023. Le attività invece?

Le azioni sono ancora in corso, ma penso che con il 2025 si concluderà tutto.


Eppure la stessa relazione della Corte dei conti afferma che i bisogni dei care leavers permangono.

Certamente, ed è proprio da qui che ripartirei. In Italia ci sono circa 42mila minorenni che vivono fuori dalla famiglia di origine per problemi di assenza o inadeguatezza genitoriale: fra loro, 7mila ogni anno compiono 18
anni e perdono il supporto dello Stato. Sono i care leavers. Del 90% di questi 7mila ragazzi perdiamo progressivamente le tracce, lasciamo cioè che entrino nell’ombra. La Corte dei conti dice che nelle conclusioni «sono stati evidenziati gli aspetti che hanno rappresentato delle criticità nell’attuazione della sperimentazione, utili anche per calibrare meglio, alla luce delle risultanze emerse, le decisioni, che si reputano ormai mature, circa la traduzione della sperimentazione del progetto Care leavers in fase a regime della misura di sostegno, ovvero il suo accantonamento, senza dimenticare che le esigenze ed i bisogni espressi dalla categoria di giovani interessati alla sperimentazione restano di tutta attualità e che ad essi devono essere date adeguate risposte nel senso che verrà indicato dal legislatore». Questa per me è la premessa di qualsiasi ragionamento e sono felice che la Corte dei conti lo abbia evidenziato: se anche il Governo o il legislatore non dovesse dare continuità al fondo, comunque i care leavers ci sono e quindi lo Stato deve trovare altri strumenti per accompagnarli. Il problema c’è, il “come” è stato affrontato ha dato senza dubbio risultati efficaci dal punto di vista dell’impatto sulla vita dei singoli beneficiari, che hanno aumentato il loro livello di benessere mentre ci sono punti critici dal punto di vista dell’efficienza, che tuttavia non significa che le risorse siano state spese male, ma che ci sono state tante difficoltà. Il tema per me non è l’efficacia, ma l’efficienza.

Federico Zullo

Quindi la relazione della Corte dei conti non l’ha sorpresa?

La scorsa estate è stato presentato un report della Sperimentazione nazionale 2018-2023 e molte criticità sono state evidenziate già lì. Il fatto che non si sia riusciti a spendere tutte le risorse stanziate, per esempio, ha molto a che fare con la scelta che – a differenza di altre sperimentazioni – questa è partita subito a livello nazionale e le regioni, visto il riparto dei fondi, hanno individuato i territori in cui avviare la sperimentazione. Ma alcuni territori oggettivamente non erano pronti a mettere in campo una governance complessa come quella prevista dal fondo. Per alcuni di essi, il tema dei care leavers era completamente nuovo. In alcune zone del paese così la partenza è stata rallentata e difficile, altri hanno aderito per una sola annualità. Se la parte amministrativa non è pronta a capire cosa fare, ovviamente fatica a dare il “la” agli assistenti sociali. La Basilicata per esempio ha rinunciato, mentre la Valle d’Aosta è entrata dopo. Devo dire però che quel Tavolo locale che la Corte dei conti ha definito come “pesante” dal punto di vista dell’efficienza organizzativa e per la sostenibilità della misura, a mio giudizio è stato invece uno strumento molto importante, perché permette non solo di indentificare i beneficiari e di disegnare soluzioni concretamente adatte a loro, ma anche di costruire una buona pratica rispetto ai processi di supporto e accompagnamento all’autonoma dei giovani tout court, non per forza dei soli care leavers. L’aspetto che i ragazzi hanno messo in evidenza, in generale, è l’apprezzamento verso il tutor per l’autonomia, che si è rivelato un riferimento utilissimo.


Avendo seguito da vicino la sperimentazione, cosa bisognerebbe cambiare a suo giudizio?

Già all’avvicinarsi del termine della sperimentazione, nel 2023, con una quarantina di altre organizzazioni avevamo chiesto di rinnovare il fondo introducendo delle modifiche. Un primo problema sta nella definizione del beneficiario: il legislatore ha definito il care leaver come colui che al compimento dei 18 anni esce da percorsi di accoglienza avviati in seguito a un provvedimento dell’autorità giudiziaria, significa che un giudice deve aver decretato l’allontanamento dalla famiglia di origine. Questa definizione dovrebbe essere allargata, includendo anche chi è fuori famiglia per un affido consensuale o con misure più smart che i servizi sociali attuano, che prevedono l’uscita dalla famiglia ma senza decreto. E poi abbiamo i minosri stranieri non accompagnati, che ad oggi non possono accedere al fondo proprio per quella definizione. La Corte dei conti ha rilevato un limite rispetto ai numeri dei beneficiari, che sono stati più bassi del previsto e che hanno portato ad utilizzare 24 mln di euro su 30, ma se ci fossero stati criteri di selezione dei care leavers più ampi molto probabilmente quei numeri sarebbero stati diversi. Fra l’altro un ragazzo non poteva accedere alla sperimentazione anche per altri motivi, per esempio se ha problemi di salute mentale, di dipendenze, a livello penale… Ma ragazzi con queste caratteristiche fra i care leavers ce ne sono molti. È chiaro che portano delle complessità aggiuntive. A volte poi sono i ragazzi stessi che dicono no: perché non si fidano dei servizi, non vogliono i tutor, perché a 18 anni vogliono decidere da soli… È chiaro che se il primo incontro, quando fai questa proposta, lo fai di persona l’aggancio è di un certo tipo: se lo fai online e perdi il vis a vis l’aggancio è diverso. E non dimentichiamo che in mezzo a questa sperimentazione c’è stato il Covid. Inoltre, credo che se le organizzazioni di Terzo settore fossero state maggiormente coinvolte, avremmo avuto risultati maggiori sui numeri.

Dipendesse da lei, davanti all’aut aut a cui la Corte dei conti richiama il decisore, che farebbe?

Direi di prendere il buono e andare avanti. L’esperienza è stata senza dubbio molto positiva perché ha aperto una finestra sul tema, ha dato visibilità al problema, ha permesso a tanti territori di interagire, costruire alleanze e a tanti giovani di sperimentare benefici concreti. Certo anche io avrei voluto che tutte le risorse fossero state spese e che chi è stato escluso dalla sperimentazione potesse essere stato incluso. Ma ora è il momento di rilanciare, partendo dai punti di forza e superando le criticità messe in luce dalla Corte dei conti. Auspico che questa diventi una misura strutturale, che il diritto ad un accompagnamento all’autonomia ci sia per tutti i care leavers e che esso duri anche per un tempo maggiore: che senso ha avviare un percorso a 20 anni – concretamente alla fine spesso si avvino le azioni concrete su casa e università a quell’età – e interromperlo al compimento dei 21? Perché non pensare che a determinate condizioni si possa proseguire fino a 23/25 anni? Lo stesso per il lavoro, la quota di riserva prevista dalla legge 68 che ha funzionato molto bene, a 21 anni termina: si può estendere a 25, così che anche chi ha fatto un percorso universitario possa beneficiarne? Probabilmente nel complesso bastano meno risorse di quel che si pensava inizialmente, cioè la spesa che potrebbe rimanere la stessa ovviamente proporzionata al fatto che non sarebbe più una sperimentazione ma che dovrebbe raggiungere tutti i care leavers.  L’ultima cosa che direi è che, almeno in alcuni territori, si potrebbe pensare ad una gestione diretta della regione, non dei Comuni: passare da una governance locale a una governance regionale in alcuni casi potrebbe essere la soluzione che renderebbe sostenibile il tutto.

Foto inviate dall’intervistato.

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