Le intenzioni sono buone, è il risultato complessivo che non convince. Uno
spettacolo teatrale per omaggiare Carlo Maria Martini, a un anno dalla scomparsa. Esercizio lodevole, ma forse ci volevano braccia più robuste. Non era una persona qualunque, il
Cardinale: l’
afflato mistico abbinato a un
uso sopraffino della Ragione, questa era la cifra distintiva di un uomo destinato a segnare indelebilmente la storia della Chiesa.
La pièce, in scena
fino al 6 ottobre al Piccolo Teatro Studio Melato, purtroppo non restituisce questa immagine. Ed è un peccato, perché le idee di partenza erano davvero notevoli.
Raccontare il Martini dell’ultima fase, che da
Gerusalemme –dove si è guadagnato definitivamente il titolo di profeta dei nostri giorni- torna a
Milano; la
Milano che da Arcivescovo prese per mano, incoraggiandola a venir fuori dalla “selva oscura” del
terrorismo rosso (alla fine degli anni Settanta) e della corruttela partitica (
Tangentopoli, un decennio dopo). Martini: il Cardinale e gli altri è il racconto delle ultime miglia percorse dal religioso: la stagione del coraggio, della malattia che accettò ma alla quale mai si arrese. La fase, insomma, in cui emerse in tutto il suo fulgore la caratura morale, la tempra del combattente non-violento dalla fede incrollabile.
Non è solo, in questo ultimo viaggio: il gesuita, proprio nel momento in cui il dono della parola vien meno, affida la voce al suo doppio. In scena appaiono dunque due Martini: il primo è impersonato da un uomo, il secondo da una donna. L’uomo è debilitato dalla malattia, non ha più la forza per riassumere –a se stesso, e al pubblico che lo segue in platea e dalle balconate- l’esaltante cammino terreno che gli è capitato di vivere. Ha bisogno di un ausilio, di uno “sparring partner” (poiché si parla di un uomo nobile il gergo del pugilato, che è la nobile arte, risulta in tema). Questo alter ego lo ritrova, naturalmente, dentro di sé: ha le fattezze di una donna, perché uno spirito inclusivo come Martini accoglie nel suo animo pure l’altra metà del cielo.
Il tutto, con le immagini che scorrono alle spalle dei due attori: la tranquillità estatica di Gerusalemme; le guglie del Duomo che elevano gli “spiriti magni” verso il cielo; la facciata di un aereo, per dare l’idea del transito verso la realtà ultraterrena. Una colonna sonora azzeccata sintetizza efficacemente il momento solenne dell’ uomo che, al tirar delle somme, si congeda dal mondo con la pace nel cuore.
Si diceva all’inizio che le intenzioni di chi lo ha messo in scena sono degne di lode. Con un filo di attenzione in più, gli spettatori avrebbero assistito a 75 minuti memorabili.
L’intento è di rappresentare un Martini afono, impossibilitato a esprimere a parole ciò che il cuore gli detta in quel momento. Ma l’attore che lo impersona (Giovanni Crippa) parla tanto: sembra più uno scambio di opinioni con l’attrice che impersona il doppio (Lucilla Giagnoni).
I dialoghi sono eccessivamente didascalici: lo spettatore che è interessato ad approfondire il quadro storico in cui si è mosso il cardinale può già consultare le innumerevoli pubblicazioni disponibili. Da una rappresentazione teatrale si aspetta, evidentemente, qualcosa di diverso: la traduzione, con più pathos, di quegli eventi ; l’emozione che affiora dalle labbra, dai corpi degli interpreti in scena.
Spiace dirlo, ma l’impressione è che a questo spettacolo manchi un po’ di cuore. E poiché l’argomento centrale è proprio il cuore aperto di Martini a tutti coloro che vogliono udire la sua testimonianza, era necessario far vibrare maggiormente le corde dell’emotività.
Il finale, poi. Anche in questo caso, l’idea era intrigante: un bambino che entra in scena e interroga il doppio femminile di Martini su questioni di fede molto importanti. Il problema è che il fanciullo in questione era visibilmente imbarazzato, probabilmente non se la sentiva di apparire davanti al pubblico (ad ogni modo ha una lunga vita davanti a sé, ci saranno molte altre occasioni per rifarsi).
Dopo aver parlato insieme, si fermano a guardare un filmato che scorre nella parete. Bella idea, peccato però che le immagini siano sfocate, a singhiozzo: con tutta la buona volontà, lo spettatore non riesce a capire che filmato stiano trasmettendo.
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