Welfare

Carceri fuorilegge

In edicola un'inchiesta sul sovraffollamento record: sono 21.457 i detenuti di troppo

di Redazione

di Sergio Segio

Se l’amministrazione penitenziaria fosse un’azienda, avrebbe da tempo dovuto portare i libri in tribunale. Ma a essere condannati, più che gli amministratori, sarebbero, per così dire, i proprietari. Vale a dire i responsabili politici. E qui il fallimento è manifestamente per dolo, giacché i problemi sono noti, analizzati e denunciati da tempo immemore (e significativamente spesso in modo congiunto e omogeneo da parte di tutti i diretti interessati: detenuti, associazioni, volontariato, operatori, direttori, agenti), senza che misure minimamente adeguate siano mai state messe in campo.

Sui numeri delle carceri, tuttavia, andrebbe sempre ricordata l’avvertenza di uno che se ne intendeva: Francesco Di Maggio, già magistrato di punta. Nei primi anni 90, da poco insediato al vertice delle carceri, provocò scalpore affermando che le statistiche penitenziarie erano inattendibili e inverificabili. Del resto, proprio la sua franchezza e ancora di più i suoi contrasti con i sindacati del personale («Pretendono di gestire ancora in maniera consociativa l’amministrazione penitenziaria. Un’ingerenza intollerabile», dichiarò a Repubblica del 30 gennaio 1994), causarono il suo licenziamento da parte dell’allora Guardasigilli, Alfredo Biondi.

In quell’occasione, i giornali titolarono sui brindisi di festeggiamento degli agenti di custodia. La stessa cosa successe parecchi anni dopo, quando un ministro della Giustizia di opposta parte politica, Oliviero Diliberto, da un giorno all’altro defenestrò da capo del Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Alessandro Margara.

Per far posto a GianCarlo Caselli, dopo la deludente esperienza alla procura di Palermo, si disse; ma soprattutto per accattivarsi i tanti e potenti sindacati corporativi della polizia penitenziaria, indispettiti dal tentativo di Margara di mettere mano a un problema annoso e tuttora irrisolto: quello che vede istituti del Nord costantemente sotto organico e altri del Sud con personale esorbitante. Insomma, nelle carceri nulla è certo e stabile: né le cifre né gli incarichi.

Quel che pare invece del tutto prevedibile è il collasso del sistema. Del resto lo aveva pronosticato con esattezza lo stesso Di Maggio in un’altra intervista: «Arriveremo presto a quota 60-70mila, contro una capienza di 37mila» (Repubblica, 27 maggio 1994). La sequenza storica dei detenuti presenti conferma la facile profezia: al 31 dicembre 1991 i reclusi erano 35.469 (di cui il 15,13% stranieri). Dieci anni dopo erano 55.275 (di cui il 29,48% stranieri), mentre al 30 giugno 2011 erano 67.394 (il 35,96% stranieri). Ora, a fine agosto, sono 67.104, di cui 24.155 stranieri…
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