Welfare

Carcere: una casa per l’associazione ‘A Roma Insieme’

Il Comune capitolino assegna una sede allo storico ente che si occupa dei figli delle detenute di Rebibbia

di Stefano Arduini

L’ unica associazione italiana di volontari che in modo permanente e organizzato opera ormai da dieci anni con le detenute madri che scontano la pena in un carcere, quello romano di Rebibbia, insieme con i loro figli, di eta’ compresa tra 0 a tre anni, ha finalmente una sede: il Comune di Roma ha assegnato all’associazione ‘A Roma Insieme’ un locale di circa 100 metri quadri nel centro storico della citta’, in via S. Angelo in Pescheria 35, dove l’associazione, che paghera’ un affitto calmierato rispetto ai prezzi di mercato, potra’ svolgere le proprie attivita’ e costituire un punto di riferimento per tutti coloro che si occupano di mamme, bambini in carcere e piu’ in generale di infanzia. A Roma Insieme ha cosi’ festeggiato i dieci anni di attivita’ ed ha inaugurato la propria sede, presenti, tra gli altri, gli assessori capitolini alla casa Claudio Minelli e alle politiche sociali Raffaella Milano e i deputati Anna Finocchiaro e Augusto Battaglia. ”Lavoreremo senza sosta fino a quando non avremo raggiunto il nostro obiettivo: che nessun bambino varchi mai piu’ la soglia di un carcere”, ha spiegato la presidente dell’ associazione, Leda Colombini. Ogni sabato, dal 1994, i volontari dell’associazione trascorrono l’intera giornata fuori dal carcere con i bambini e le bambine della sezione nido di Rebibbia. ”Le giornate – spiega Chiara Piva, una delle volontarie – trascorrono, secondo la stagione, presso amici e sostenitori, ospiti in campagna o al mare, nei parchi cittadini, al Bioparco o ovunque si possano creare momenti di gioco e di scoperta”. Tra i prossimi obiettivi dell’associazione, che sta lavorando su questo punto con la commissione Pari Opportunita’ della Consulta penitenziaria del Comune di Roma, c’e’ quello di proporre modifiche alla legislazione in materia affinche’ la legge n. 40 del 2001 sulle ‘Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori’, che ha visto finora la propria applicazione per le detenute madri italiane, come spiega Colombini, funzioni pienamente anche per le nomadi e per le detenute straniere. ”Vogliamo – spiega Colombini – che venga prevista una norma che dia la possibilita’ al giudice di revocare l’espulsione dall’ Italia delle detenute madri straniere se si verificano, una volta scontata la pena, una serie di condizioni: se le donne hanno compiuto un percorso di cambiamento comprovato dai servizi sociali, se loro e i loro figli sono inseriti nella scuola e nella realta’ sociale e territoriale, se hanno un contratto di lavoro e un domicilio, anche in case di accoglienza”.


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