Cultura
Carcere, tra Covid e sovraffollamento: l’Italia prenda esempio dall’Europa
Dallo scenario delle carceri italiane all’arrivo del Covid-19 a quello che il nostro paese avrebbe potuto “importare” copiando alcuni paesi dell’Unione dove sono state introdotte misure esterne o alternative allo stare in carcere che hanno funzionato contro la diffusione del contagio
di Luca Cereda
Le conseguenze della pandemia da Covid-19 sul mondo della sanità, del lavoro, dell’istruzione, sulla disparità di genere, su quelle sociali e su molti altri aspetti legati alla qualità della vita, hanno colpito più duramente rispetto ad altri creando anche nuove sacche di povertà. Tra i gruppi di persone che hanno subito in modo più pensante le conseguenze della pandemia vanno sicuramente inclusi i detenuti. Openpolis ha raccolto i dati su 32 paesi europei che mostrano come le prigioni hanno gestito l’attuale pandemia, dai contagi negli istituti di pena, alle soluzioni adottate per evirarli, in particolare i quei paesi, come l’Italia, in cui il sovraffollamento è endemico. I numeri sono stati confrontati con quelli dell’Associazione Ristretti Orizzonti e mostrano quanto l’Italia avesse vicino a casa, in Europa, spunti ed esempi su come gestire la pandemia nelle carceri.
Il sovraffollamento, prima della pandemia
Per quanto le carceri siano pensate come ambienti isolati e quindi in un certo senso protetti dall’esterno, la loro condizione di sovraffollamento cronico – nel Belpaese, ma anche in alcuni paesi del Vecchio continente – ha infatti comportato molte difficoltà nella gestione del virus. Sia dal punto di vista sanitario che sociale.
Secondo l’associazione Ristetti Orizzonti, l’emergenza sanitaria ha avuto l’effetto di riproporre e acuire alcuni dei problemi strutturali, connaturati per com’è pensato il sistema detentivo italiano.
Prima dello scoppio della pandemia a inizio 2020, nelle strutture penitenziarie del nostro paese erano recluse più di 62mila persone. Ma a fronte di poco più di 40mila posti. Il sovraffollamento carcerario, ovvero l'eccesso nel numero di detenuti effettivi rispetto alla capienza regolamentare dell'istituto, è una condizione che accomuna vari paesi membri dell’Ue. Anche se il “mal comune” non è affatto “mezzo gaudio”. È, riducendolo alle fondamenta, un problema di spazi, ed è esploso per via di un virus che si trasmette stando vicini e in assenza di dispositivi di protezione. Un fenomeno, quello del sovraffollamento che in Italia fa registrare il dato peggiore d’Europa, con circa 120 detenuti ogni 100 posti disponibili, superato negativamente solo da Cipro (134,6 su 100).
Lo scenario delle carceri italiane all’arrivo del Covid-19
Aggiungiamo qualche altro dato al quadro su cui si è innestata la pandemia: la Lombardia è anche – oltre che la più colpita dalla prima ondata di coronavirus – la regione in cui, in numeri assoluti, è recluso il numero più elevato di persone (7.763) oltre a disporre della maggiore capienza (6.139 posti), ed è anche la regione con più detenuti rispetto alla capienza regolamentare delle sue strutture (1.624 detenuti in più rispetto ai posti disponibili), essendo anche la regione più popolosa d’Italia. Solo in 7 regioni italiane (circa 1 su 3) le carceri non sono sovraffollate. La detenzione è già di per sé una condizione problematica e drammatica per le persone che la vivono, sia per ciò che possono subire nelle carceri, a livello mentale e fisico, sia per le gravi difficoltà di reinserimento nella società una volta usciti, che spesso portano a recidive. In italia con l’avvento della pandemia e le rivotò avvenute in alcune carceri da parte dei detenuti che pretendevano chiarezza sulle ulteriori restrizioni dietro le sbarre – anche per via di situazione socio-sanitarie non prese in carico a dovere – hanno subito fine tragica: le rivolte hanno infatti coinvolto circa 6mila prigionieri in 49 diversi istituti e che hanno portato alla morte di 14 di loro, oltre che al ferimento di più di 40 agenti della polizia penitenziaria, alla distruzione di intere sezioni di alcune strutture carcerarie e all'evasione di decine di persone detenute nel carcere di Foggia.
Le misure prese dai sistemi penitenziari europei
Se nel primo momento della pandemia i contagi nelle prigioni erano molto contenuti, è bastato poco perché la situazione esplodesse. L’Italia, come tutti gli altri paesi Ue ha affrontato la questione introducendo una serie di misure perlopiù restrittive, prima ancora dell'introduzione del lockdown generale.
Con queste premesse [sovraffollamento, scarse condizioni igienico-sanitarie tra cui la quasi assente areazione delle prigioni], i governi hanno messo in atto diverse misure per evitare l’ingresso del virus negli istituti e, più raramente, per diminuire il numero dei detenuti. Misure che come in Italia purtroppo non hanno avuto in molti casi un ampio respiro e una valenza sistematica, ma si sono limitate al contrasto emergenziale. Il tutto mentre nel nostro paese sono stati sospesi i colloqui con i familiari e gli ingressi esterni di persone con cui i detenuti svolgevano attività lavorative, educative, formative e ricreative, tra cui i volontari. E con la proclamazione dello stato di emergenza, queste misure si sono poi ulteriormente inasprite. In alcuni paesi dell’Unione sono state introdotte misure esterne o alternative allo stare in carcere che hanno funzionato contro la diffusione del contagio.
La Francia e la liberazione anticipata dei detenuti a fine pena
Un esempio da cui l’Italia avrebbe potuto – e potrebbe – prendere spunto è la Francia: Oltralpe la popolazione detenuta è scesa da 72.575 detenuti del 15 marzo 2020 (dopo aver ricevuto una condanna da parte della CEDU nel gennaio 2020 proprio per il sovraffollamento e le condizioni di detenzione) a 58.695 detenuti il 1 luglio 2020. Questo risultato è stato ottenuto grazie a un utilizzo più esteso della liberazione anticipata per i detenuti a fine pena e la riduzione dell’attività giudiziaria. Tuttavia questo fenomeno anche se con numeri inferiori, questo è avvenuto in Italia, ma dopo la prima ondata pandemica, la popolazione detenuta è tornata a crescere fino ad arrivare a 62.673 unità il 1 gennaio 2021. Mantenendo il modello di scarcerazione per chi è a fine pena il numero può restare vicino – quantomeno – anche in Italia al numero di posti in carcere.
Quando l’educazione va di pari passo con la ri-educazione (del reo)
Durante la pandemia la scuola in presenza ha conosciuto interruzioni in quasi tutti gli Istituti (nel 94% del totale). Nel 60% delle carceri le attività in presenza sono state interrotte per almeno 3 mesi, cioè per almeno 1/3 dell’anno scolastico. Sono pochi i casi in cui è stata garantita la Didattica a distanza (Dad), a differenza di quanto avvenuto all’esterno. All’andamento irregolare della attività scolastiche, ha corrisposto un alto tasso di abbandono scolastico: ancora peggio è andata nelle carceri, dove nel 20% degli istituti e dei corsi monitorati almeno 1 studente su 3 ha abbandonato la scuola. Il 33%. Diversamente in Germania in un periodo di chiusura e di stallo delle attività lavorative all’esterno, ma anche all’interno degli istituti di pena, la volontà dei detenuti di seguire corsi di formazione, linguistica, ma anche pratica e teorica è aumentata. E alla domanda ha fatto seguito una risposta: la proposta di almeno cento nuovi corsi, soprattutto di tedesco, ma anche di discipline pratiche e di quelle teoriche. È da sottolineare come questo sia stato possibile grazie alla digitalizzazione avanzata nella maggioranza dei penitenziari tedeschi, che certo è un merito rispetto all’analfabetismo tecnologico e digitale che ancora oggi, nonostante la pandemia affligge la maggioranza delle carceri italiane, nelle quali i cellulari con le schede sim per le videochiamate sono entrate spesso grazie alle associazioni di volontariato.
Il rapporto tra detenuti e personale penitenziario in Italia è tra i migliori in Europa
Le nostre carceri però rimangono indietro per quanto riguarda l’offerta di servizi educativi ai detenuti, fondamentali per dare attuazione concreta al principio costituzionale secondo cui le pene hanno una finalità rieducativa. In Italia, infatti, l’84% dello staff carcerario si occupa esclusivamente della custodia dei detenuti, contro una media europea del 61%. Gli addetti alle attività educative rappresentano l’1,9% del totale, a fronte di una media del 3,3%. Al momento sono in servizio nelle carceri 733 educatori, mentre il numero previsto è di 896: ne mancherebbero, quindi, circa un quinto. Gli agenti di Polizia penitenziaria attualmente impiegati sono invece 36.939, circa 240 in meno rispetto alle 37.181 indicate dal Ministero della Giustizia come «dotazione organica» per il settore nel 2017: ne mancherebbero, insomma, meno dell’1%.
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