Welfare

Carcere, Tinebra: “I detenuti hanno diritto all’umanità”

Il capo del Dap ha aggiunto: "Un carcere capace di recuperare coloro che vi transitano è conformità ed armonia tra esigenze di sicurezza e di giustizia''

di Stefano Arduini

”Un trattamento umano e orientato al recupero dei detenuti giova alla sicurezza della società”. A sottolinearlo è il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Giovanni Tinebra, nell’intervento con cui in Campidoglio ha aperto i lavori della ‘Conferenza dei direttori delle amministrazioni penitenziarie e dei servizi per le misure alternative’, organizzata dal Consiglio d’Europa e dal ministero della Giustizia. ”Esiste -ha evidenziato Tinebra- una richiesta di sicurezza che muove dalla società. La risposta corretta non consiste nell’ignorarla, ma nel rispondervi in modo adeguato, ossia in una direzione che non trascuri la sicurezza conforme alle esigenze della giustizia. Un carcere capace di recuperare coloro che vi transitano è conformità ed armonia tra esigenze di sicurezza e di giustizia”. In molti Stati europei, tra i quali l’Italia, si assiste ad una tendenza: quella di ”aumentare la durata della carcerazione”, che riflette ”una crescente intolleranza sociale per taluni delitti particolarmente ripugnanti”. ”Non si può censurare la crescita di una cultura che rifiuta che rifiuta il crimine. Ciò che sarebbe profondamente negativo -ha avvertito Tinebra- è che per le condanne di lunga durata venisse meno l’idea che la persona è comunque titolare di un diritto al trattamento. La prospettiva di ritornare in libertà non può essere soppressa senza sopprimere con ciò stesso il significato di un trattamento”. In questo contesto, ha ricordato Tinebra, ha dato indicazioni ”chiare”: ”Nei confronti dei detenuti a pena di lunga durata occorre l’intensificazione degli sforzi trattamentali, una specificità di offerte, un maggior supporto di competenze psichiatrice e psicologiche, un’attenzione particolare alla dimensione affettiva”. Il carcere oggi è ”profondamente cambiato”, ha sottolineato il capo del Dap, ma ”moltissime sono ancora le ragioni che impongono di pensare alla trasformazione”: da ”strumento inevitabile” il carcere può diventare ”strumento non inevitabilmente dannoso”. Tinebra ha posto l’accento anche sulle misure alternative alla detenzione. ”Vi è una progressione -ha detto- nei numeri e nella tipologia, anche se tuttora incapaci di ridurre il numero dei detenuti e il tasso di carcerazione nei Paesi europei. Sul piano concreto, la principale molla delle misure alternative non è il sovraffollamento, ma il carcere stesso. Se si accetta l’idea -ha aggiunto il capo del Dap- che la pena deve essere finalizzata non ad infliggere una sofferenza al condannato, ma ad una finalità di recupero, risulta chiaro che la misura alternativa è una soluzione auspicabile, in un certo numero di casi, indipendentemente dal problema del sovraffollamento”. Ciò che occorre però, secondo Tinebra, sono ”limiti precisi” nell’applicazione di misure alternative al carcere, assieme ad ”un organo specializzato che, con le necessarie garanzie, sia in grado di applicarle con equilibrio”. E servono anche ”strutture adatte e personale culturalmente attrezzato” perchè il carcere sia ”luogo di attenzione e di verifica”.


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