Giustizia

Carcere, quale futuro? Iniziamo da lavoro e affettività

In un incontro organizzato da Antigone in occasione dei 50 anni dell’Ordinamento penitenziario si è cercato di rispondere alla domanda: «Qual è il futuro del carcere in Italia?». Massimo Parisi, direttore del Personale del Dap: «Stiamo lavorando per creare un ufficio che si occupi del lavoro penitenziario. A breve uscirà una direttiva dell'amministrazione sull’affettività negli istituti di pena, va attuata la sentenza della Corte costituzionale». Patrizio Gonnella (Antigone): «Bisogna costruire un altro modello di carcere»

di Ilaria Dioguardi

Uno sguardo sul futuro del carcere nel nostro Paese. È quello che si è cercato di immaginare durante l’incontro di chiusura della due giorni organizzata dall’associazione Antigone, dal titolo “A 50 anni dalla approvazione dell’Ordinamento penitenziario. Passato, presente e futuro della pena in Italia”, alla Casa internazionale delle donne di Roma.

Impossibile non partire dal problema del sovraffollamento. Sono 61.916 i detenuti negli istituti di pena al 31 gennaio 2025 (dati del ministero della Giustizia) a fronte di 46.839 posti disponibili. La capienza regolamentare sarebbe di 51.312, ma quasi 5mila spazi sono inagibili. Ci sono 15mila persone detenute in più rispetto ai posti disponibili.

Sempre l’anno scorso, le persone che si sono suicidate durante la detenzione sono state 88, più 146 che hanno perso la vita dietro le sbarre per motivi di altra natura. Nel 2025 sono già 10 i suicidi e 25 i decessi per motivi di altra natura. Gli istituti penitenziari visitati, nel 2024, da Antigone sono stati 87. Nel 48% non era garantita l’acqua calda tutto il giorno e per tutto l’anno.

Strutturare il lavoro in carcere

«Stiamo immettendo nel sistema una generazione nuova di direttori, un centinaio. Di educatori ne mancano 33 sul territorio nazionale. L’educatore è una figura che si è burocratizzata, si è perso un po’ il rapporto con le persone», ha detto Massimo Parisi, direttore generale del Personale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria – Dap. «Stiamo lavorando per creare un ufficio che si occupi del lavoro penitenziario, che è un aspetto che va rinsaldato con una riorganizzazione. Il lavoro in carcere non può dipendere dall’iniziativa del singolo, ma deve essere strutturato. Le persone detenute ammesse all’articolo 21 in Italia sono responsabilità dei direttori. Bisogna avere la capacità di individuare lavoro all’esterno, anche con le risorse del Terzo settore».

In arrivo una direttiva del Dap sull’affettività

 Inoltre, Parisi ha detto che «a breve uscirà una direttiva dell’amministrazione sull’affettività. Va attuata la sentenza della Corte costituzionale». Il direttore si riferisce alla sentenza 10 del 2024 con la quale in carcere viene consentito il diritto a colloqui in intimità con i partner. «Bisogna costruire un altro modello di carcere», ha detto il presidente di Antigone Patrizio Gonnella. «“Facciamo respirare i diritti” è la nostra campagna 2025».

«Il carcere ha un futuro oppure il futuro è il carcere?

«Avremo sempre più carcere, dovremmo porci la questione che ci saranno sempre più persone detenute. Con il Decreto Sicurezza sono aumentate le pene, anche le rivolte passive vengono punite. Dovremmo farci questa domanda: “Il carcere ha un futuro oppure il futuro è il carcere? “», ha detto Marcello Bortolato, presidente del tribunale di Sorveglianza di Firenze. «Se il carcere ha un futuro è una domanda di cui possiamo liberarci, non è possibile avere un’alternativa. Ma è possibile il superamento del modello rieducativo con tutti i suoi difetti. La grande questione della riforma del 1975 è stata l’introduzione di misure alternative al carcere. Dobbiamo salvaguardare quel sistema e chiederci se è ancora attuale il presupposto culturale del sistema alternativo».

«Le misure alternative non sono un’alternativa al carcere»

«Dobbiamo pensare sempre alle misure alternative come strumento di reinserimento sociale. Se nel 2011 le misure alternative erano 22.300, oggi ce ne sono quasi 90mila. Ma a una crescita così importante delle misure alternative non ha corrisposto un abbassamento degli ingressi in carceri, che sono aumentati. Dobbiamo capire», ha continuato Bortolato, «che le misure alternative non sono un’alternativa al carcere. La pena che si espia negli istituti di pena è diventata ingiusta perché non è rieducativa».

Quali sono le risposte possibili nell’immediato futuro? Secondo Bortolato due proposte «avrebbero il compito di liberare dei posti letto. Bisognerebbe far capire all’opinione pubblica di concedere qualche giorno in più di libertà a chi se lo merita. Il secondo è l’indulto. Bisogna far sentire la propria voce su due questioni del Ddl Sicurezza: l’incriminazione per rivolta in carcere e il tema delle donne detenute con figli piccoli. Su questi due punti bisogna far sentire la propria voce, aumentano il conflitto nelle carceri». Bortolato ha concluso affermando che «far partecipare i detenuti alle scelte di vita detentiva in carcere è il miglior antidoto alle rivolte e al disagio psichico (quindi al rischio dei suicidi), ove possibile».

Foto di apertura di Matthew Ansley su Unsplash
Foto e video nell’articolo di Ilaria Dioguardi

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