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CARCERE. Permessa la procreazione assistita

La Cassazione si è pronunciata favorevolmente per dare la possibilità di procreare ai detenuti con malattie virali con l'ausilio della provetta

di Redazione

Via libera alla procreazione assistita per i detenuti con malattie virali con elevato rischio di trasmissione al partner o al feto. Lo sottolinea la Cassazione che, dopo aver dato l’ok ai figli in provetta per i boss in regime di «carcere duro», dà la possibilità anche ai detenuti con malattie virali di avere figli grazie alla fecondazione assistita. In particolare, la Prima sezione penale – sentenza 11259 – ha accolto il ricorso di Andrea M., un detenuto di 44 anni affetto da epatopatia HCV al quale il magistrato di Sorveglianza della capitale aveva negato il consenso ad accedere alla fecondazione assistita sulla base del fatto che nè il detenuto nè la moglie avevano problemi di sterilità o comunque una «patologia intrinsecamente impeditiva del concepimento o della gestazione».
Per il magistrato di sorveglianza non si potevano applicare le «Linee Guida» del decreto del ministero della Salute dell’aprile 2008 quale condizione che, per l’elevato rischio di tramissione al partner e al feto induce oggettivamente situazione di infertilità. Ma la Cassazione l’ha pensata diversamente e ha rinviato il caso al magistrato di sorveglianza della capitale. Accogliendo il ricorso del detenuto, la Suprema Corte ha ricordato che la legge 40 del 2004 «parla di sterilità o infertilità, ma non indica le specifiche patologie che producano sterilità o infertilità in modo dettagliato e nominativo».
La stessa legge «laddove richiama il parere del Consiglio Superiore della Sanità, quale supporto tecnico delle “Linee Guida” che sono “vincolanti per tutte le strutture autorizzate“, pur con riferimento all’indicazione delle procedure, in definitiva demandi proprio alle ‘Linee Guidà la più compiuta e particolareggiata indicazione delle patologie rientranti nel più generale quadro normativo». «Tali “Linee Guida“», osserva ancora la Cassazione, «in effetti esplicitano una serie di condizioni patologiche, a vario livello incidenti nella funzione riproduttiva, che quella condizione
finale di infertilità o sterilità producono». Dunque «non è corretto disapplicare le Linee Guida degradate a fonte regolamentare, proprio in quanto esse svolgono invece funzione concretamente integrativa della previsione generale della Legge 40 (la cui applicazione altrimenti sarebbe lasciata, in materia di particolare sensibilità umana e sociale, oltre che deontologica, alle disomogenee inziative dei singoli medici)».
Detto questo, la Suprema Corte non trova «lecito che il giudice si possa spingere fino al punto di delimitare, al di là di quello che è stato il parere scientifico del massimo organo di consulenza
tecnica in materia medica, ciò che rientri o non rientri nell’ambito delle patologie che la comunità scientifica ritenga invece autorevolmente produttiva di infertilità o sterilità».


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