Welfare

Carcere: in calo i detenuti sottoposti a regime duro

I dati resi noti dal Procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna: i detenuti in 'carcere duro' sono 611, erano 636 lo scorso 13 ottobre

di Redazione

Continuano a calare i mafiosi in regime di carcere duro, ma i numeri del primo quadrimestre del 2004 in materia di revoche della detenzione speciale dei tribunali di sorveglianza indicano che i giudici sono piu’ rigidi nell’ applicare il nuovo 41 bis, grazie alle indicazioni della Cassazione e ad alla crescita delle impugnazioni opposte dalle Procure. I dati sono stati resi noti stamani dal Procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna, nell’ audizione davanti alla Commissione antimafia. Attualmente – il dato e’ aggiornato proprio ad oggi – sono 611 i detenuti in ‘carcere duro’. Erano 636 lo scorso 13 ottobre (72 revoche). Tuttavia, nonostante il calo oggettivo dei carcerati in regime speciale (regolamentato dalla legge 279 che nel 2002 lo ha introdotto stabilmente nell’ ordinamento penitenziario) e’ comunque diminuito il trend delle revoche rispetto allo scorso anno. Nel primo quadrimestre 2003 in 29 avevano ottenuto la revoca, mentre al 28 aprile 2004 solo 12. La mappa ‘genetica’ dei mafiosi al 41 bis – sempre in base ai dati di Vigna – indica che sul totale di 611, sono 123 quelli che appartengono alla camorra, 210 a Cosa Nostra, 130 alla ‘ndrangheta, 41 alla Stidda, 48 alla Sacra corona unita, 58 alle altre mafie (etniche), uno alla criminalita’ comune. Un aspetto che desta sempre preoccupazione – ora che sembra essersi attenuato l’allarme revoche creatosi dopo l’ entrata in vigore del nuovo 41bis e le polemiche sulla passivita’ dei pm che non impugnavano – e’ il permanere dei contatti tra i mafiosi sorvegliati speciali e l’esterno. A riguardo e’ stato disposto dalla Commissione un monitoraggio, che Vigna consegnera’ prossimamente. In proposito il magistrato ha reso noto che, recentemente, un camorrista pentito ha svelato che uno dei trucchi usati dal clan ‘Giugliano’, e’ quello di cucire dei foglietti di carta sottilissima su vestiti che poi vengono portati fuori dal carcere. In un altro caso si e’ accertato – ha raccontato ancora il capo della Dna – che ”i messaggi venivano transitati da un panierino che scendeva dal piano del 41bis fino alla sezione ordinaria, poi una signora li portava fuori”. Per Vigna ”il problema non e’ di norme, ma di strutture”. Insomma, e’ l’organizzazione delle carceri a fare acqua. Vigna, infine, ha lanciato la proposta di creare un nucleo di polizia specializzata, una sorta di ”intelligence del territorio” che tenga d’occhio le frequentazioni, i legami, il tenore di vita dei familiari dei mafiosi al 41bis – anche pedinandoli dopo i colloqui in carcere – per scoprire se il ‘caro’, tra le sbarre, ha ancora contatti con il clan, oppure se li ha rescissi. Vigna ha detto che, adesso, sui legami tra boss detenuti e cosche, le ”informazioni raccolte localmente sono spesso deludenti”. ”Abbiamo bisogno – ha concluso Vigna – di personale di polizia che sul territorio, dove vivono le cosche e i familiari del sottoposto al 41bis, sia in grado di rilevare dei sintomi, che il magistrato non puo’ accertare, sul mantenimento dei contatti tra detenuti e mondo esterno. Ad esempio il tenore di vita dei congiunti e i loro rapporti con il clan. Ritengo utile una organizzazione che faccia questo”.


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