Welfare
Carcere, idee per la Fase 2
Riprendere gradualmente i colloqui con i familiari, incrementare le tecnologie di comunicazione e riaprire gradualmente ai volontari
Mentre come Volontariato cerchiamo di raccogliere le nostre proposte rispetto alla Fase 2, ci giunge la notizia che sono stati nominati un nuovo Capo del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria e un nuovo Vice Capo, tutti e due magistrati esponenti dell'Antimafia.
Non abbiamo nessun pregiudizio sulle persone, siamo un Volontariato che lavora a fianco delle persone detenute per una tutela dei loro diritti, ma anche per stimolare una assunzione di responsabilità nei loro percorsi di risocializzazione, e da anni coinvolgiamo in questi percorsi famigliari delle vittime in un'ottica di Giustizia riparativa.
Usando il rispetto verso gli "altri da noi", che sempre è elemento fondante del nostro lavoro, ci permettiamo di sottolineare che a dirigere le carceri dovrebbero essere chiamate ANCHE persone competenti in materia di rieducazione, perché questo è il mandato costituzionale. Quindi chiediamo che, come in passato, in qualità di Vice Capo sia affiancata alle due figure già nominate un'altra figura che si occupi esclusivamente di percorsi di risocializzazione.
Queste le nostre riflessioni sulla Fase 2, su cui chiediamo da subito di essere chiamati a un confronto e a una collaborazione costruttiva.
I colloqui con i famigliari devono gradualmente riprendere
Non è pensabile che le persone detenute non possano incontrare i loro famigliari "a tempo indeterminato" in attesa che si trovi il vaccino per il coronavirus, quindi l'Amministrazione è opportuno che cominci a pensare a misure per permettere una graduale ripresa dei colloqui: dal rafforzare il sistema delle prenotazioni telefoniche all'attrezzare meglio le aree verdi all'aumentare in modo consistente giorni e orari di colloquio, per poter ridurre i numeri e distanziare le persone (pensiamo con sgomento agli sgabelli in acciaio imbullonati al pavimento di Oristano…) al predisporre spazi di attesa più ampi (pensiamo alla stanzetta del carcere di Parma dove sono accatastate di solito decine di famigliari…). Questa emergenza almeno potrebbe costringere a ripensare gli spazi tristi degli affetti, il Volontariato ha sempre avuto una piattaforma articolata su questi temi ed è disponibile a dare senz'altro un contributo forte.
Le tecnologie sono "entrate" per il virus, ora non devono più uscire
La cosa più drammatica che potrebbe succedere nella fase 2 è che le tecnologie, entrate di prepotenza in carcere, anche per far fronte all'epidemia di rabbia che rischiava di diffondersi e inquinare le condizioni di vita già difficili, ne escano appena si tornerà a un po' di normalità ripristinando i colloqui visivi. No, non si deve tornare indietro perché anche in condizioni "normali" i rapporti con le famiglie, le telefonate e i colloqui nel nostro Paese sono veramente una miseria. E ci sono persone detenute che non possono fare i colloqui visivi (lontananza, parenti anziani e malati…). Abbiamo visto detenuti piangere dopo aver parlato in videochiamata con un genitore che non vedevano da anni, non è pensabile che questa boccata di umanità a costo zero possa finire. E Skype, dove già c'era, non basta, è comunque uno strumento elitario.
Riaprire al Volontariato significa riportare in carcere la funzione costituzionale della pena
Di massima importanza risulta riaprire l'accesso ai volontari e agli operatori della società civile, che attraverso il loro impegno realizzano progetti, che costituiscono importanti percorsi di crescita per le persone detenute. Oggi sono ancora interrotti i corsi formativi finanziati dalle Regioni, anche con fondi europei (che rischiano di andare persi), e i progetti pensati e realizzati dal Volontariato, progetti che spesso permettono di maturare dei percorsi di crescita e di consapevolezza sul proprio ruolo all'interno della società e rappresentano l'essenza della funzione rieducativa/risocializzante della pena.
I volontari, assieme ai familiari dei detenuti, sono state le prime persone "sacrificate" in nome della sicurezza sanitaria all'interno degli Istituti penitenziari, ma, come sta accadendo per il resto del territorio, anche all'interno delle carceri si deve pensare ad una fase 2. È quindi necessario reintrodurre una "vita sociale" nelle carceri riportando al loro interno la società civile attraverso delle corrette procedure di accesso al carcere a tutela dei volontari stessi, degli operatori e dei detenuti, tra cui l'utilizzo dei dispositivi individuali di protezione (mascherina, guanti e gel).
Zoom, Meet, Skype, quando le Videoconferenze sono cibo per la mente
Le attività scolastiche in videoconferenza sono state autorizzate anche nelle carceri, e stanno cominciando faticosamente a funzionare. Quella della videoconferenza è una modalità che potrebbe aprire grandi possibilità, soprattutto per ampliare gli spazi dello studio e dei percorsi rieducativi. In tanti oggi mettono le mani avanti dicendo che c'è il rischio che le tecnologie si sostituiscano alla presenza viva della società civile, il cui ruolo è fondamentale nelle carceri.
Noi pensiamo che invece le videoconferenze possano essere un autentico arricchimento: mettere insieme per esempio, come si sta facendo a Padova, voci come quella di Fiammetta Borsellino, della figlia di un detenuto dell'Alta Sicurezza e di persone che hanno finito di scontare una pena, che dialogano con gli studenti, è una opportunità che deve coinvolgere stabilmente anche il carcere e le persone detenute: si tratta infatti di un'autentica rivoluzione culturale di enorme valore, che mette al centro le testimonianze dei detenuti e l'assunzione di responsabilità, cioè il cuore vero della rieducazione. Ma dà anche degli strumenti tecnologici fondamentali per il loro futuro alle persone rinchiuse, che non possono restare dei "senzatetto digitali", se non vogliamo che il reinserimento diventi ogni giorno più difficile in una società, che le tecnologie le dovrà mettere sempre più al centro della sua vita.
Quando il deserto rischia di essere sia "dentro" che "fuori"
Il reinserimento significa anche accesso ai permessi premio e poi alle misure alternative. I permessi oggi sono bloccati, non possono rimanerlo ancora a lungo, se non vogliamo svuotare di senso e di speranza le pene. Devono essere attuati, nel rispetto della sicurezza sanitaria. Quanto alle misure alternative, se già era complicato prima avere una offerta di lavoro per accedervi, dopo, nella fase 2, diventerà una guerra tra poveri dove chi esce dal carcere avrà ancora meno opportunità. E "dentro" le persone si vedranno intrappolate, senza futuro, spaventate. Inoltre anche dentro è diminuita l'offerta di lavoro negli istituti dove era più alta grazie alle cooperative sociali, anch'esse ora come tutte le aziende sono in seria difficoltà, anche se dove sono presenti stanno lottando strenuamente per mantenere le attività. E anche per le famiglie, con la crisi economica che si sta profilando, sarà più difficile sostenere i propri cari detenuti.
Ci vorrà allora il doppio di attenzione, anche rispetto al rischio di patologie come la depressione, da parte delle Istituzioni, ma anche di quel Volontariato che accoglie e sostiene i percorsi di reinserimento, e delle cooperative che sono più attrezzate per offrire opportunità lavorative a soggetti svantaggiati. Già abbiamo collaborato con il Dipartimento della Giustizia Minorile e di Comunità sulla questione cruciale dell'accoglienza per chi può accedere a misure come la detenzione domiciliare, vogliamo continuare a farlo perché, nella difficile fase dell'uscita dal carcere, non vengano vanificati percorsi di reinserimento complessi, che richiedono attenzione e accompagnamento.
La sentenza della Corte Costituzionale sull'ergastolo ostativo non può essere "cancellata"
Il coronavirus ha distrutto le nostre illusioni di vivere in un mondo in cui non ci siano malattie che non si possano sconfiggere. In questo quadro già desolante di per sé, in cui il sovraffollamento dovrebbe essere motivo di riflessione sui rischi che si corrono lì dove il distanziamento sociale non è possibile, si inserisce una polemica per detenzioni domiciliari concesse a detenuti in 41bis. Guardiamo il caso che ha creato più scandalo, quello di Francesco Bonura, un esponente di spicco della mafia. Ma davvero siamo messi così male, da vivere in uno Stato che ha paura di un uomo di 78 anni, con un tumore grave, cardiopatico, con ancora da scontare pochi mesi di carcere? una magistrata rispetta la legge e manda quest'uomo in detenzione domiciliare, usando gli strumenti che la legge le dà, non per l'emergenza coronavirus, ma perché semplicemente il diritto alla salute vale per tutti, anche per i criminali. Ricordiamo che le rivolte hanno comunque fatto emergere tanta disperazione, rabbia e morte, ma nessun vero disegno eversivo; e poi non c'è nessuna misura, fra quelle legate all'epidemia da coronavirus, che possa essere applicata in qualche modo alle persone in carcere per reati della criminalità organizzata. Dove c'è stata qualche scarcerazione, di qualche disperato con pesanti patologie, perché comunque anche un mafioso con un tumore gravissimo è un disperato, si è trattato di tutelare il diritto alla salute come vuole la nostra Costituzione. Ed è uno Stato forte quello che sa prendersi cura della salute di TUTTI, anche dei mafiosi.
Insieme, a fianco dei Garanti
Il Garante Nazionale e i Garanti regionali hanno avviato una prima riflessione sulle prospettive della fase 2. Ai Garanti allora proponiamo, come già abbiamo iniziato a fare nel Veneto, che il confronto avvenga anche con il Volontariato e le cooperative sociali, che chiedono di essere coinvolti da subito, perché è adesso che c'è bisogno che la società civile torni a essere presente capillarmente nelle carceri e nell'area penale esterna: questa deve essere non un'occasione per pensare di "fare da soli" ma un'opportunità per lavorare fianco a fianco, ognuno valorizzando la sua specificità. Vogliamo tornare a portare nelle carceri le nostre idee, le nostre risorse, la nostra capacità innovativa, e vogliamo contribuire con la nostra competenza a informare e sensibilizzare le persone "dentro" e la società "fuori", bombardata da una informazione, spesso superficiale e imprecisa.
*Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia
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