Welfare

Carcere. Denunce e dibattito a San Vittore

"Vergogna" dice don Luigi Ciotti "per descrivere la situazione in carcere". Occasione, un dibattito a San Vittore per presentare la rivista "Colors". Presenti Sepulveda e Min

di Ettore Colombo

“55 mila persone nelle carceri italiane, il numero più alto numero mai registrato, 15 mila detenuti in più rispetto al possibile; una densità per istituto di 129 individui per 100 posti. Ben diversa, per esempio, la situazione in Francia: nei penitenziari, il rapporto letti-detenuti è di 100 per 100; in Danimarca 90 a 100”. Le parole di don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele, risuonavano dure come pietre all’incontro sul ruolo sociale della detenzione organizzato lunedì pomeriggio nel carcere di San Vittore, grazie al direttore Luigi Pagano, presente con una delegazione dell’istituto milanese. Fra gli ospiti, lo scrittore cileno Luis Sepùlveda e il giornalista Gianni Minà. Spunto per il dibattito: “Colors dietro alle sbarre”, l’ultimo numero della rivista Benetton, che ha sguinzagliato i suoi giornalisti a visitare 14 prigioni in altrettanti paesi, dove ben 8 milioni di persone sono detunute. Rappresentano ormai una vera e propria comunità, sempre più in crescita, e un ricco business: una cella nuova negli Usa, per esempio, costa 58mila dollari, il doppio di una superficie equivalente sulla Fifth Avenue, a New York. “Viviamo in un sistema in cui il 15 per cento è in carcere per reati gravi – dice Ciotti. E allora c’è da chiedersi dov’è il progresso. Tutti si nascondono dietro la parola sicurezza, ma la città sicura è quella che accoglie. E invece c’è chi pensa di poter risolvere tutto alzando un recinto attorno a queste persone”. Fra i problemi, anche quelli della prevenzione e del reinserimento di chi ha scontato la pena, spiega Ciotti. Che porta un esempio positivo: “In una delle nostre cooperative per la raccolta dei rifiuti lavorano 120 persone: in tre anni, soltanto tre di queste hanno avuto problemi di recidiva”. I religioso ha ricordato anche i lavoratori delle carceri (“il loro, è un mestiere davvero difficile”) e una battaglia che deve continuare, “Non imprigionare la mia infanzia”, dedicata ai bambini ospitati nelle prigioni con i genitori detenuti. Lo scrittore Luis Sepùlveda ha voluto dare la sua testimonianza, descrivendo il carcere nel suo paese, sotto la dittatura di Pinochet: “La nozione poetica di condizione umana in molti paesi non esiste. Ricordo di quando ero detenuto in uno dei primi istituti di massima sicurezza, una di quelle strutture in cui prevale la vendetta statale sulla giustizia: per due anni ho vissuto in un buco, e ricordo che mi sputavano e orinavano addosso…”. E ancora: “Scriverne? Forse un giorno lo farò. Ai tempi non l’ho fatto per pudore, ma anche perché avrei messo in pericolo persone che erano ancora detenute come lo ero stato io”. Basta sfogliare la rivista Colors 50 dedicata alle “Prigioni” e fare le dovute proporzioni, per capire però che in alcune zone del mondo le carceri sono gironi danteschi, in cui l’uomo non può far altro che sopravvivere. In alcune del Sud Africa, per esempio, operano le temibili bande dei numeri, vere e proprie associazioni segrete che spadroneggiano. In Colombia altre sono controllate degli stessi detenuti: i più ricchi pagano per occupare la cella, gli altri dormono in cortile. Negli Usa, dove dal ’90 a oggi la comunità carceraria è raddoppiata, e dove viene ospitato il 25 per cento dei detenuti di tutto il pianeta, pur rappresentando solo il 5 per cento della popolazione mondiale. Solo la California ha più carceri di cinque, sei paesi messi insieme. “La società è distratta – conclude Minà -. Ma è fatta di persone e non di numeri. I reportage di Colors sulle prigioni del mondo sono agghiaccianti. E non c’è nessun Dio che vuole il disinteresse della gente verso questi problemi”.


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