Welfare

Carcere, caso mense: ministro Orlando se ci sei batti un colpo

Il responsabile di via Arenula fino ad ora ha mantenuto un profilo molto basso sullo stop ai catering interni gestiti dalle cooperative sociali. Perché? Forse sarebbe il caso di chiarire

di Redazione

Da domani circa 170 detenuti e 40 operatori perderanno il loro posto di lavoro. Alle dieci cooperative (Ecosol a Torino, Giotto a Padova, La città solidale a Ragusa, Men at work e Syntax error a Rebibbia, Divieto di sosta a Ivrea, Pid a Rieti, Campo dei miracoli a Trani, L’Arcolaio a Siracusa, Giotto a Padova, che oggi ha organizzato un’inziativa di protesta all’interno del carcere Due Palazzi) impegnate nelle gestione delle mense interne ai penitenziari non è stata infatti rinnovata la convenzione e il finanziamento da parte della Cassa ammende, che negli ultimi cinque anni ha garantito i finanziamenti ad hoc. Il costo per le casse del ministero di questi progetti è di circa 3,5 milioni di euro (a fronte di un bilancio, al 31 dicembre 2013, di 59,9 milioni di euro). Ora la gestione delle mense tornerà in capo alla stessa amministrazione penitenziaria, malgrado le proteste dei dieci direttore coinvolti. Ma da dove nasce questa decisione?

«Non c’è mai stata la promessa di proroga, ma di un impegno a proporre alla Cassa delle Ammende di valutare nella sua autonomia 15 giorni di proroga, con un possibile rilievo contabile di 140mila euro», ha sostenuto il capo del Dap Santi Consolo a chi gli chiedeva conto della mancata proroga di 15 giorni “promessa” lo scorso 30 dicembre, aggiungendo che «la Cassa ha detto no, a mio avviso con buoni argomenti economici e giuridici». Da parte sua anche il ministro Andrea Orlando ha fatto sapere tramite i suoi uffici a Vita.it che «non dipendendo direttamente dal ministero, sulla Cassa Ammende il ministro più che praticare una sorta di moral suasion non può fare molto» anche perché «la Cassa può finanziare progetti solo in una fase iniziale, ma poi questi progetti devono imparare a camminare sulle loro gambe». Una passaggio, questo, che non pare trovare riscontro nel regolamento della Cassa stessa, in cui non si parla in alcun modo di budget dedicati esclusivamente alle fasi di start-up dei progetti.

Aggiungiamo poi che, se è vero che il ministro non siede direttamente nel Cda della Cassa, ma la Cassa è un organo incardinato nel dipartimento di amministrazione penitenziaria, che sino a prova contraria dipende da via Arenula. Non solo. In una lettera congiunta di tutti i direttori dei 10 istituti coinvolti, datata 28 luglio 2014, si sottolinea «l’indubbio miglioramento della qualità del vitto somministrato ai detenuti», nonché «di pari passo con quello delle condizioni igienico-sanitarie delle cucine» e con numerosi «vantaggi economici», come i risparmi «sulla manutenzione ordinaria e, non di rado, straordinaria delle attrezzature», «sull’acquisto di prodotti per le pulizie», «per le utenze e le mercedi».

Rimane quindi la domanda: perché escludere le cooperative dalle mense di appena 10 carceri (su 205 penitenziari italiani)? La risposta forse va trovata nelle pieghe di un bilancio del ministero della Giustizia che pare la Corte dei Conti ha messo sotto tiro. «Trovare 3,5/4 milioni non è uno scherzo, qui dobbiamo stare attenti anche al centesimo», fanno sapere da via Arenula. Forse a questo punto però converrebbe che il ministro, che ieri a un convegno a Napoli ha fatto sapere che il 21marzo presenterà al Papa un progetto sul lavoro in carcere, chiarisse come stanno davvero le cose.  


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