Non profit
cara, vecchia stufa: ma sei anche ecologica?
È boom in Italia per il pellet. Con qualche ombra
di Redazione
Belle, sono belle; pulite lo sembrano anche: che cosa c’è di più ecologico della vecchia, cara stufa a legna? E invece no. O almeno, se ne può parlare. Il mercato di stufe a pellet (una sorta di evoluzione dei ceppi, vedi box) è cresciuto quest’anno, anche grazie al freddo, in tutta Europa ed è letteralmente esploso in Italia, dove gli acquirenti sono sempre più attenti a risparmio, ecologia ed efficienza.
I vantaggi, in effetti, sono tanti: in primo luogo il risparmio del 20% rispetto al riscaldamento a metano, dovuto al basso costo sia dell’impianto che del carburante; poi il grado d’efficienza: la legna compressa ha un alto potenziale calorifico che, unito al funzionamento di queste stufe (controllo di combustione, presenza di uno scambiatore che recupera il massimo calore dai fumi e un sistema di doppia combustione), arriva a un rendimento superiore al 90%. Infine l’assoluta ecocompatibilità della macchina, che immette nell’aria una quantità di CO2 tale da non turbare il ciclo della natura. Insomma, un prodotto sicuro, pulito e performante.
Ma allora dove sta il problema? Il punto, spiega il vicepresidente di Legambiente, Andrea Poggio, è la scelta dei pellet: «Quello di qualità scadente, contaminato da collanti e vernici, impedisce il corretto funzionamento della stufa, e aumenta le emissioni e l’inquinamento». Un problema che riguarda in particolare il nostro Paese, visto che il pellet italiano, di alta qualità, è difficilmente reperibile a motivo di una produzione poco sviluppata. I pellet sul mercato provengono quindi per lo più dall’estero (Austria ed Est Europa) e il rischio di comprare prodotti scadenti, con danni sia ai macchinari che all’ambiente, è reale. «Le aziende produttrici di stufe allertano i consumatori sui rischi dell’utilizzo di pellet di scarsa qualità, e indicano le caratteristiche base dei prodotti validi», spiega l’ingegner Anna Maggi di EdilKamin, azienda leader nel settore, «oltre a impegnarsi perché anche l’Italia introduca per legge uno standard minimo qualitativo per il pellet».
In soccorso del consumatore viene anche il Cti-Comitato termotecnica italiano, che indica valori base di riferimento e due marchi di qualità: Pro pellet all’estero e Pellet Gold in Italia, entrambi però facoltativi; inoltre più informazioni si trovano sul sito di Legambiente, www.viviconstile. com. Infine, il prezzo: tempo fa era scattato l’allarme sull’aumento dei costi, schizzati a oltre 46 euro al quintale, contro i 25-30 considerati sostenibili. Oggi per fortuna il prezzo si è stabilizzato intorno ai 30 euro, migliorando il risparmio effettivo nei confronti di altre fonti di calore.
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