Cara signora Calipari, ci vogliono donne come lei per farci riflettere in pochi secondi e per spazzare via, con un vento impetuoso, la retorica e il sonno della memoria. «L?omaggio migliore a Nicola Calipari», lei ha detto, «sarà l?accertamento della verità sulle cause e sulle responsabilità di quanto è successo, sulle quali sta lavorando la magistratura». Ha parlato così, da donna fiera, davanti al sottosegretario Gianni Letta e al direttore del Sismi, Nicolò Pollari. I colleghi di Nicola stavano piantando un ulivo che viene da Gerusalemme, per ricordare suo marito, lì, a Forte Braschi, dove Nicola lavorava con discrezione prima di partire per le sue missioni impossibili. L?ultima, quella di salvare la vita di una giornalista scomoda, Giuliana Sgrena, in Iraq, nella tana dei terroristi. Cara Rosa, lei ha chiesto verità, si è fermata lì. Non pretende, se mi permette l?aggiunta, giustizia. Lei ha capito benissimo che nessuno pagherà per la morte di suo marito. Ma almeno vuole, esige, che la sua memoria venga rispettata e che sia ristabilita la dignità dell?onore. Non solo: ha parlato del lavoro della magistratura, e dunque ha confermato, da italiana colpita a morte nell?affetto più importante, che ai magistrati bisogna dare fiducia, e mezzi, e poteri, per lavorare al di sopra delle parti e delle convenienze politiche e diplomatiche. Lei ha parlato, per singolare coincidenza, nel giorno del venticinquesimo anniversario della strage di Ustica. Un?altra donna, Daria Bonfietti, nelle stesse ore, dichiarava che la magistratura ha fatto tutto quello che poteva, e che ora la parola passa alla politica, se davvero si vuole, anche per quegli 81 cittadini morti, sapere almeno la verità. La dignità di un Paese, il sentirsi convintamente italiani, cara signora, passa anche dalla risposta alla sua orgogliosa richiesta di verità.
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