Famiglia

Cara Italia, non ti lascio pi

Quelli che hanno trovato lavoro e casa non sono più disposti a lasciare la modernità diun Paese ricco per ricominciare nella loro Patria.

di Paolo Giovannelli

Torneranno a casa? Macché, o se lo faranno saranno davvero in pochi. Del resto, tale è stata la sorte anche di tanti italiani, rimasti in America dopo la grande migrazione degli inizi del ‘900 e i cui figli oggi conoscono a malapena qualche parola della lingua di Dante. Si parla, ovviamente, di immigrati. In particolar modo di quelli provenienti dall’area del Maghreb e dei Balcani meridionali, specialmente dal Marocco e dall’Albania. I quali, secondo l’indagine intitolata “Lontano da casa” e realizzata nel periodo febbraio-settembre ’99 dall’associazione Alisei, in collaborazione con la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del ministero degli Affari Esteri e condotta su un campione di 300 immigrati (144 albanesi e 156 marocchini, uomini e donne dai 20 ai 45 anni) delle comunità straniere più numerose in Italia, sarebbero fortemente intenzionati a restare nel Belpaese per un periodo di tempo ancora lungo‚ o indeterminato‚ in moltissimi casi per sempre. Addio, dunque, al mitico bar aperto a Casablanca dopo una vita da lavoratore stagionale nella raccolta delle arance e dei pomodori, addio dunque all’autosalone di potenti automobili tedesche a ridosso del centro di Tirana.
Alla presentazione dello studio “Lontano da casa”, avvenuta la scorsa settimana alla sala Luigi Di Liegro di Palazzo Valentini a Roma hanno partecipato rappresentanti di alcune ong italiane che lo hanno così commentato: «Gli immigrati che giungono in Occidente», hanno sostenuto in coro, «ricercano la modernità e, una volta trovata, faticano ad abbandonarla. Molti non ci riescono proprio». Ecco poi due risposte-tipo date agli intervistatori dell’associazione Alisei (supportati nel loro lavoro anche dalla cattedra di Geografia politica ed economica della facoltà di Scienze politiche dell’Istituto universitario orientale di Napoli) che confermano questa tesi. La prima è di un immigrato marocchino: «In Marocco non c’è lavoro. È impossibile farsi una vita, manca la casa per la mia famiglia. Ormai, il mio ambiente è qui in Italia». La seconda di uno albanese: «Non rientrerei in Albania nemmeno se qualcuno mi promettesse lavoro sicuro. Perché, se poi mi trovassi in difficoltà, come farei a rientrare in Italia?».
Ma c’è una cosa che, sia la comunità marocchina che quella albanese lamentano: lo scarso aiuto ricevuto dallo Stato italiano. Insomma, la presenza delle istituzioni italiane non è avvertita dagli stranieri intervistati. Solo in pochi reputano che i governi italiani abbiano contribuito a risolvere i problemi legati al permesso di soggiorno, alla mancanza di casa e alle agevolazioni per l’accesso ai servizi sanitari di base. La presidente del Cidis-Alisei, Carla Barbarella, nota: «Con questa indagine sull’immigrazione abbiamo scelto di indagare sui marocchini e sugli albanesi, le due comunità di stranieri più numerose e, quindi, più antipatiche agli italiani. Ma, dal fatto che affermano di voler restare in Italia, è evidente la loro netta sfiducia nei confronti delle rispettive classi dirigenti. In Europa cercano soprattutto pace, sicurezza e lavoro». Anche se la ricerca dell’associazione Alisei consegna al lettore la speranza che chi è emigrato in Italia nutre in un futuro migliore, i problemi degli immigrati rilevati dai ricercatori di Alisei restano legati quotidianamente alla mancanza della casa, all’assistenza sanitaria, ad un rapporto ancora non idilliaco con i cittadini italiani. Il volume della ricerca è di 184 pagine, con trentadue fotografie, ventiquattro tabelle, cinque grafici e tre mappe.
Informazioni: Alisei, tel: 06.483066.
mailto:aliseirm@alisei.org

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.