Non profit

Cara Fondazione, fuggi dalla banca

Nemici del non profit? Troppo legati agli interessi finanziari? Guzzetti (Cariplo) e Cariani (a capo di una piccola fondazione) spiegano come uscire dall’equivoco

di Francesco Maggio

Il non profit le ritiene interlocutori importanti, ma tra i due non c?è ancora un buon feeling (come attesta il sondaggio di ?Vita? di due settimane fa tra esperti e manager di organizzazioni del Terzo settore). Il governo si augura che gli tolgano un po? di castagne dal fuoco, facendogli, per esempio, risparmiare preziose risorse nella realizzazione della riforma del welfare e del sistema sociale e sanitario. Il mondo produttivo e industriale vorrebbe, invece, che i cospicui capitali di cui dispongono venissero impiegati prevalentemente a sostegno dello sviluppo delle imprese.
E loro, le Fondazioni bancarie, nel mirino di tante attenzioni (e non tutte disinteressate) che dicono? Tanto per iniziare un desiderio: quello di sapere davvero chi sono, di conoscere la propria vera identità, poiché cominciano a essere stufe (come sostengono spesso i vertici) di sentirsi chiamate, di volta in volta, mostri senza padrone, foreste pietrificate, cani dalle gambe storte, camaleonti della finanza, eccetera, eccetera.
Desiderio certamente legittimo, che potrebbe essere presto esaudito, visto che entro il 22 maggio il governo dovrà necessariamente emanare i decreti legislativi di attuazione della legge delega approvata nel dicembre scorso (legge 461/98). In sostanza, si dovrà stabilire (tra le altre questioni ancora aperte) come andranno effettuate le (residue) privatizzazioni bancarie, gli scopi di utilità sociale perseguibili dalle Fondazioni, l?entità percentuale di risorse destinabili in tal senso.

Il disgelo è già cominciato
Tuttavia, in attesa che giunga una legge a far chiarezza, le Fondazioni non stanno ?a guardare?, e, a sorpresa (e seppur lentamente, con significative differenziazioni interne), si rivelano nel complesso un settore in movimento. È quanto emerge da un recentissimo studio del Censis che si è proposto di indagare le ambizioni e le potenzialità delle Fondazioni bancarie italiane, coinvolgendone, attraverso lo strumento delle interviste dirette ai segretari generali, 51 delle 88 esistenti nel nostro Paese. Infatti, se da un lato rimangono ancora numerosi i nodi da sciogliere, dall?altro è possibile riscontrare positivi segnali di dinamismo (che sfatano, perlomeno, il luogo comune della ?foresta pietrificata?).

Privatizzazione: il grande passo
Tra i primi, si segnala il forte divario tra aspirazioni e organizzazione: ad aspirazioni elevate degli enti (sostenere il welfare nel proprio territorio, catalizzare risorse per iniziative di crescita socio-economica e culturale) corrisponde spesso un livello di organizzazione interna inadeguato, nel 68,6% dei casi meno sviluppato di quello giudicato ?minimo? dagli stessi segretari generali. E ancora, risultano piuttosto carenti le strategie di comunicazione con l?esterno, di trasparenza e di confronto con la società civile del proprio territorio di riferimento. Inoltre è alta la confusione presso l?opinione pubblica (segnalata da 41 enti su 51) circa la distinzione di identità e ruolo che passa tra fondazioni e banche partecipate. In compenso emergono risultati incoraggianti per quanto riguarda il forte radicamento territoriale (che si traduce in rapporti di collaborazione stabile con le istituzioni locali), il progressivo abbandono delle microerogazioni (la cosiddetta ?pioggia? che non supera quasi mai i 15 milioni di lire) a beneficio di una progettualità più ampia (il 51% eroga annualmente una somma tra gli 800 milioni e i 5 miliardi di lire), l?adozione di criteri nuovi (nell?80,4% dei casi) nella definizione e nella scelta dei progetti da finanziare, la volontà di essere ?motori? di un nuovo modo di concepire l?attività non profit. Insomma, un puzzle dai mille colori, ricco certamente di diversità, ma troppo complicato e dove è ancora alto il rischio di perdersi.
«Viviamo ancora una fase di transizione», conferma Giuseppe Guzzetti, Presidente della Fondazione Cariplo (11.500 miliardi di lire di patrimonio, 7 mila miliardi di liquidità da gestire), «che inevitabilmente rallenta tutta una serie di adeguamenti interni utili all?identificazione e al perseguimento delle ?mission? che devono identificare le Fondazioni». «In realtà, però», prosegue Guzzetti, «questo è un problema che avvertono soprattutto le fondazioni che non hanno ancora privatizzato. Chi invece, come noi, ha già compiuto il ?grande passo?, non solo ha ben chiaro cosa vuol fare ?da grande?, nel nostro caso attività di grant making, di erogazione cioè in alcuni settori di riferimento come la ricerca scientifica, la sanità, l?arte, ma anche sta provvedendo a dotarsi di una organizzazione all?altezza delle sue ambizioni». «Per questo», conclude il Presidente della Fondazione Cariplo, «abbiamo istituito due appositi gruppi di lavoro, uno composto da risorse interne, l?altro da consulenti esterni affinché ci aiutino a essere sempre più propositivi e a instaurare, tra l?altro, proficui rapporti di collaborazione con il Terzo settore».
L?incontro con il Terzo settore
Se questa è la ?direzione di marcia? di una grande Fondazione, anche tra quelle piccole è possibile riscontrare un analogo attivismo. «È comprensibile che una ricerca sull?intero universo fondazionale, o, comunque, su buona parte di esso», afferma Giorgio Cariani, presidente della Fondazione Cassa di risparmio di Vignola (123 miliardi di patrimonio, 5 miliardi di lire investiti ogni anno), «porti a risultati talora contraddittori, ma fondamentalmente perché ancora molte Fondazioni non hanno dismesso il controllo delle banche e non possono quindi dedicare a tempo pieno energie al conseguimento dei loro scopi di pubblica utilità».
«Noi che abbiamo venduto già nel 1996», continua Cariani, «avvertiamo poco in realtà i limiti emersi dallo studio Censis, ma sentiamo, per esempio, moltissimo l?importanza della trasparenza. Così siamo stati tra i primi in Italia a compilare il bilancio di missione perché riteniamo che la fondazione debba essere come una ?casa di vetro? in cui tutto sia visibile a tutti». Avanti adagio, allora, in attesa di conoscere come il governo farà decreti e privatizzazioni.
Solo dopo queste ?tappe?, le Fondazioni e il mondo del Terzo settore potranno diventare finalmente ?amici?.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.