Politica

Cara Fiat, qui non c’è più la monarchia

Torino a sinistra, la provincia a destra. Perché? C’entrano i soldi per comperare parte di Mirafiori e sostenere la grande Punto. Come dimostra il caso di Cuneo

di Christian Benna

B ye Bye Silvio. Notte di festa quella che si è consumata tra il 7 e l?8 aprile in oltre 30 locali modaioli della Torino post olimpica. Si brindava all?annunciata fine dell?era berlusconiana stappando bottiglie di Moscato d?Asti e rossi vivaci delle Langhe e del Roero. Un brindisi in anteprima a più 24 ore dall?apertura delle urne. Peccato però non aver fatto i conti con chi ha servito il buffet. A meno di un anno dalla vittoria del centrosinistra con l?elezione di Mercedes Bresso al governo della Regione, il Piemonte ha cambiato di nuovo rotta svoltando a destra. Nel territorio subalpino la Casa delle Libertà ha guadagnato sul filo di lana il Senato, con il 50,5% delle preferenze, e dilaga con il 55% dei voti nel Piemonte 2, la seconda circoscrizione che ha eletto i deputati alla Camera per le province di Asti, Alessandria, Biella, Cuneo, Vercelli, Novara, Verbano Cusio – Ossola. L?11 aprile è quindi stato un brusco risveglio per il capoluogo piemontese. Ancora più pesante per l?Ulivo che si è visto sottrarre valanghe di voti anche in provincia di Torino, in Val di Susa, per la controversa e irrisolta questione della Tav.

«Si pensava che l?effetto olimpico potesse irradiare del suo fulgore tutta la regione», dice Franco Ferrarotti, il sociologo vercellese che, dopo aver raccontato ne Le briciole di Epulone la dura vita della campagna delle risaie, ha appena dato alle stampe per Guerini Editore Nelle fumose stanze, autoritratto di un cane sciolto, un indipendente di sinistra. «Ora», continua Ferrarotti, «la politica cercherà in ogni modo di conquistare i voti perduti. Niente di più sbagliato. Questo è il momento di ascoltare le province, troppo a lungo mute e dimenticate». Perché, più che il capolinea della parabola berlusconiana, in queste zone è «finito il potere e lo charme della company town, dell?equazione Torino uguale Fiat. Oggi la città è una balia secca, che deve smettere i panni di prima della classe e imparare a dialogare da pari con le sue consorelle. Ferrero, Miroglio, Mondo, Alessi, i grandi vini e prodotti del territorio sono le espressioni di capoluoghi di provincia vivi e capaci di resistere alle sferzate della globalizzazione meglio del traballante settore metalmeccanico».

Che la Cdl fosse ben radicata in provincia, nessuno lo metteva in dubbio. Il presidio degli ?onorevoli? della compagine del centrodestra è sempre stato forte: una duratura tradizione liberale e uffici aperti almeno una volta la settimana per mantenere vivo il contatto con il proprio elettorato. Ma una volata così rapida alla Camera davvero in pochi se lo sarebbero immaginato.

A imprimere la sterzata a destra ci hanno pensato alcuni provvedimenti inseriti nella Finanziaria regionale che hanno mandato su tutte le furie piccole e medie imprese del cuneese, inasprendo il dualismo paese/città. Come il rincaro delle imposte (ora le più alte d?Italia) sulle acque minerali e sulle cave: una tassa che, secondo i produttori di acqua in bottiglia e le pmi dell?edilizia, rischia di mettere fuori gioco tante aziende del territorio.

Spiega Maurilio Verna, vicepresidente di Confindustria Piemonte e numero uno dell?Ance regionale: «Fino agli anni 70 c?era una profonda sudditanza delle province nei confronti di Torino, vista ancora come capitale del Regno. Invece dalla terra della malora, che erano le Langhe dalle quali in tanti fuggivano per andare a lavorare nelle fabbriche torinese, è nato un tessuto produttivo creativo in grado di attirare investimenti esteri, mettere in piedi nuove attività e garantire occupazione. Si tratta di un vero ribaltamento culturale che forse a Torino non è ancora stato percepito. Sopravvive una certa arroganza che si traduce con la distanza della politica centrale con le sue periferie». E aggiunge: «Gli enti comunali e regionali hanno sborsato fior di quattrini (70 milioni di euro, ndr) per acquistare un pezzo di Mirafiori e consentire nello stabilimento l?avvio di una linea di Grande Punto. Fin qui tutto bene. Ma non vorremmo che poi, per certi squilibri di cassa, si finisca col mettere le mani nelle sane imprese delle provincia».

La tav nell?urna
In Val di Susa i Ds deragliano sui binari della Tav. A Venaus, dove le ruspe sono pronte a scavare il tunnel esplorativo, il partito di Piero Fassino è crollato al 3%. Boom dei Verdi che sfiorano quota 30% e vola alto anche Rifondazione con il 10%. Sulla stessa linea il responso delle urne a Mompantero, dove lo scorso inverno la Celere sgombrò con la forza i presidi No Tav . «Tutto come previsto» è il laconico commento dei sindaci locali, in prevalenza del centrosinistra, che contestano la linea dura pro Tav sposata dai Democratici di sinistra.

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