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Caporalato 2.0, Glovo: «Con la tecnologia eviteremo i rider abusivi»

Dopo il caso sollevato da Vita.it degli immigrati clandestini che lavorano conto terzi per le piattaforme di delivery a Milano e Roma ci ha scritto Glovo. «La società sta lavorando per introdurre criteri di riconoscimento biometrici»

di Lorenzo Maria Alvaro

«Prima di attivare ogni account, per garantire la sicurezza di tutti gli utenti della piattaforma, Glovo si accerta che il titolare dell’account sia in possesso di un valido titolo che autorizza la sua presenza regolare sul territorio italiano come il Permesso di Soggiorno».

A parlare è Glovo che ci ha mandato una nota stampa dopo aver letto gli articoli di Vita.it con cui si sollevava il problema dei clandestini che lavorano come rider conto terzi (cioè grazie ad un socio regolare che apre un proprio account su una piattaforma di delivery). Grande perplessità era stata anche sollevata dalla Federazione italiana lavoratori dei trasporti Cgil di Roma e Lazio sulle modalità di selezione e assunzione del personale di queste piattaforme.

«Proprio per essere certi dell'identità di ciascuno Prima dell’attivazione dell’account, tutti i corrieri devono necessariamente effettuare sessioni di on-boarding obbligatorie che l’azienda predispone. Nel corso di tali sessioni, viene verificata l’identità del corriere e la conseguente validità dei documenti, dopodiché se non si riscontrano irregolarità, l’azienda procede ad attivare l’account».

La piattaforma insomma non ammette né nega la possibilità che succeda quando descritto da Vita.it. Ma implicitamente fa capire come il problema esista, tanto da aver implementato i controlli e immaginato nuove soluzioni tecnologiche.

«Glovo non permette che lo stesso account sia attivo contemporaneamente su più dispositivi mobili. Questa modalità circoscrive la possibilità che lo stesso account venga utilizzato da persone diverse dal “titolare”, opportunamente registrato sulla piattaforma», sottolineano aggiungendo che «l’account dei corrieri è strettamente personale e non cedibile a terzi. Glovo effettua periodicamente controlli sugli account attivi, per prevenire l’utilizzo improprio di un account da parte di terzi. Nel caso in cui, nel corso di una verifica, constatasse l’utilizzo improprio di un account da parte di terzi, Glovo procederebbe con l’immediata disattivazione dell’account».

Seppure l'azienda non entri nello specifico per spiegare in cosa consistano questi controlli periodici viene sottolineato come come sia consentito «a tutti i propri utenti (partner e clienti) di segnalare eventuali incongruenze tra l’identità del corriere e quella riportata nella foto del corriere sulla app, qualora non corrispondano». Una situazione, nell'eventualità si dovesse verificare, che però metterebbe gli utenti nella spiacevole condizione di dover decidere se denunciare o meno al datore di lavoro l'irregolarità.

Più convincente lo sguardo al futuro per cui «la società sta lavorando per inserire ulteriori procedure e tecnologie atte a migliorare il livello di accertamento del corretto utilizzo degli account da parte dei corrieri. Fra i vari strumenti in programma, Glovo sta lavorando per introdurre criteri di riconoscimento biometrici che permettano di associare – con certezza assoluta – i corrieri agli account attivi, sui dispositivi elettronici che supportano questo tipo di tecnologia».

In attesa di queste novità tecnologiche, in realtà già ampiamente utilizzate su tutti gli smartphone, però sembra di capire che le piattaforme siano piuttosto impotenti rispetto ad un fenomeno che, per la verità, non sta a loro governare. Se infatti di certo, come sottolineava il segretario regionale Filt Cgil Roma e Lazio, Alessandro Antonelli, la gig economy e i suoi attori sfruttano ampiamente buchi normativi, e il farlo può essere discutibile sul piano etico ma non è un illecito, di certo non sono le piattaforme di food delivery a dover garantire la legalità e la sicurezza.


Se anche JustEat, UberEat e Deliveroo volessero dire la loro ci possono scrivere a desk@vita.it.


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