Famiglia
Capitale sociale
Sono le relazioni che consentono a una comunità di sentirsi sicura. Valori che sono stati messi sotto scacco dalla diffusione del precariato. Come uscirne? Grazie alla famiglia
Dinanzi al flusso della modernità, comprendere quale sia il nostro posto nel mondo è sempre più complicato. Possono aiutare gli altri, coloro con i quali dividiamo una comunità, un territorio. Guardandoli possiamo riconoscerci. Osservando le loro difficoltà possiamo meglio comprendere le nostre. Sentendo come si affidano a noi possiamo a nostra volta affidarci. È forse anche in questa emozione, in fondo pre-razionale, che si nasconde il segreto di quello che chiamiamo capitale sociale. Un bene prezioso e necessario, ma impalpabile e perciò difficilmente misurabile. Come sanno bene gli studiosi. Su un punto però tutti sono d?accordo: non è immaginabile una società senza questo patrimonio. Paradossalmente però ce ne preoccupiamo troppo poco. Non solo, ma, come sottolinea Fabio Sabatini in questa intervista, i soggetti che meno concretamente se ne occupano sono proprio quelli dai quali ti aspetteresti maggiore impegno. La politica, per esempio, che pure potrebbe fare molto, diviene spesso nemica del capitale sociale. Come i sindacati, che curano solo interessi particolaristici. Come i grandi media, che troppo spesso premiano stili di vita opportunistici.
Vita: Da alcuni decenni gli studiosi valorizzano il capitale sociale come un fluido che facilita le relazioni, anche quelle economiche, rendendo possibile lo stare insieme, garantendo una migliore qualità della vita. Qualcosa insomma senza cui non è possibile fare comunità. Ma cos?è il capitale sociale, esattamente?
Fabio Sabatini: Tecnicamente con capitale sociale s?intendono tutti gli elementi della struttura sociale, in particolare le relazioni interpersonali, le reti che consentono fiducia e reciprocità e servono alle persone per produrre benessere e a livello aggregato favoriscono i processi di sviluppo.
Vita: Esistono reti più efficaci di altre?
Sabatini: Ci sono tanti tipi di relazione interpersonale. Anche la mafia è una rete e ad alto contenuto fiduciario. Il problema però è individuare quali reti favoriscano la diffusione della fiducia, migliorino il benessere delle persone favorendo lo sviluppo. A me pare che per l?Italia le reti chiave siano le organizzazioni di volontariato e le cooperative sociali.
Vita: Cominciamo con il volontariato…
Sabatini: In queste organizzazioni sono diffuse le attitudini cooperative, una certa propensione alla cooperazione e alla fiducia. È possibile che da queste realtà tali principi si diffondano alla restante parte della società. Ci sarebbe una sorta di socializzazione e generazione della fiducia. Di solito gli economisti sostengono che queste organizzazioni sono un modo per perseguire interessi settari, particolaristici. In effetti lo suggeriscono molte ricerche che confrontano Paesi diversi: più organizzazioni di volontariato vogliono dire meno fiducia e meno crescita economica. In Italia però non è così. I miei studi dimostrano che da noi la presenza di volontari sul territorio è sempre significativamente e positivamente correlata con la diffusione della fiducia, con la crescita economica e la sua qualità.
Vita: Un Paese ricco di capitale sociale ma che condivide poco l?idea di legalità ?
Sabatini: Non si può generalizzare. Il capitale sociale non è omogeneamente distribuito sul territorio, come la sicurezza. Esistono studi che mostrano come la presenza di reti relazionali sia positivamente correlata con una maggiore sicurezza. Del resto il capitale sociale come si accumula, così si può distruggere. La mancanza di sicurezza è tendenzialmente un fattore di distruzione così come qualsiasi tendenza a giustificare comportamenti con risvolti criminali: quando Berlusconi, da presidente del Consiglio, diceva «l?evasione non è reato» contribuiva a distruggere capitale sociale e incitava a comportamenti opportunistici.
Vita:E le cooperative sociali?
Sabatini: Per ora ho solo risultati empirici. La mia idea è che esse rappresentino un esempio di ciò che l?azione collettiva e il coordinamento delle azioni individuali possono produrre. Se c?è una cooperativa che funziona bene e fornisce servizi pubblici costituisce per gli utenti un buon esempio del fatto che coordinarsi e agire insieme è meglio. Si favorisce la tendenza a comportarsi in modo cooperativo e aver fiducia. Manca però una microteoria che spieghi come si va dalla partecipazione sociale alla diffusione della fiducia.
Vita: Cioè non conosciamo in quali condizioni il capitale sociale si genera?
Sabatini: C?è anche una teoria secondo cui lo Stato può fare molto per favorire la generazione di capitale sociale, se incita verso comportamenti cooperativi, agevola la loro diffusione, si impegna per migliorare il radicamento del terzo settore. Quando con la legge Bassanini si è cominciato il processo di devolution, uno degli obiettivi era creare dei mercati locali dei servizi pubblici in cui lo Stato avrebbe conservato la sua posizione, sentendo però la concorrenza del settore privato e del terzo settore. L?idea era creare uno spazio d?intervento per la società civile nella fornitura dei servizi pubblici essenziali per favorire la qualità della vita delle persone. Un modo per favorire l?accumulazione di capitale sociale che rischia di trasformarsi in una grande occasione mancata. Perché l?accumulazione auspicata si è manifestata in regioni già ricche di imprese sociali. Nelle altre, povere di imprese sociali e di organizzazioni di volontariato, il ritrarsi dello Stato ha favorito l?affermazione del settore privato, con un forte pericolo di accentuazione delle disuguaglianze. Comunque sono convinto che la politica economica e sociale possono fare molto. Anche nel brevissimo periodo.
Vita: Può farci un esempio?
Sabatini: Qualsiasi politica che migliori la fornitura di servizi pubblici al cittadino e sia in grado di stimolare fiducia verso le istituzioni favorisce l?accumulazione di capitale sociale. Mi vengono in mente i risultati di uno studio condotto da Robert Leonardi per la London School of Economics e l?European Institute. È stato analizzato il quartiere di Pianura a Napoli, scelto proprio perché era un luogo talmente degradato da far dire: «Se riusciamo ad accumulare capitale sociale qui, possiamo farlo ovunque». Dunque il capitale sociale è stato misurato dieci anni fa, poi sono state attuate particolari politiche sociali, che puntavano a migliorare la qualità della vita, aumentando il verde pubblico, creando spazi aggregativi, favorendo l?organizzazione del volontariato. In dieci anni c?è stato un cambiamento radicale: più fiducia nelle persone, maggior tendenza ad associarsi, sono nate realtà di autodifesa contro la camorra, le persone dichiarano di avere una migliore qualità della vita.
Vita: Il dibattito sulle pensioni può distruggere capitale sociale, che esiste anche in quanto è condiviso tra le generazioni?
Sabatini: Intuitivamente direi che quando c?è una maggiore esposizione a rischi come la povertà, la malattia, la vecchiaia, se il sistema pensionistico è relativamente generoso, allora le persone sono meno insicure e quindi tendono a essere meno competitive e meno aggressive. In Italia il problema è spinoso, anche per la contrapposizione fra le generazioni. Le pensioni attuali sono pagate con i contributi di chi sta ancora lavorando. Un sistema che penalizza i più giovani. La scarsa disponibilità da parte del sindacato è un fattore di peggioramento della coesione sociale, non c?è dubbio. Nel momento in cui il sindacato difende una posizione che è sempre più particolare, non riguarda la comunità intera e penalizza le generazioni emergenti?
Vita: Lo stesso si può dire del precariato?
Sabatini: Mi sono occupato del precariato come fattore di distruzione del capitale sociale, verificando come a un maggior grado di precarietà nel lavoro si accompagna un ridimensionamento delle reti interpersonali di tipo amicale. In Italia il livello di precarietà è negativamente e significativamente correlato con il capitale sociale familiare. Quanto più forti sono i legami coi parenti, tanto meno si è precari. Vuol dire che le reti familiari sono un mezzo formidabile per alleviare le condizioni di precariato. Una conclusione non banale: la forza dei legami familiari è per lo più interpretata dalla letteratura scientifica come un fattore di distruzione di quel capitale sociale favorevole allo sviluppo. Ci sono una correlazione negativa e un rapporto di causazione negativo tra la forza dei legami familiari e l?intensità dei legami che costituiscono altre reti di relazione. D?altra parte la famiglia attenua le situazioni di precarietà, ha un impatto fortissimo sullo star bene delle persone, ma in un modo che noi economisti non siamo in grado di quantificare.
Vita: Chi sono i soggetti più deputati a gestire il capitale sociale?
Sabatini: Anzitutto i soggetti di tipo collettivo, le organizzazioni di volontariato, le cooperative, i gruppi di persone. Anche se poi il capitale sociale è qualcosa di molto più capillarmente diffuso, riguarda tutti noi e i nostri comportamenti quotidiani. Aggiungerei ad esempio i leader politici.
Vita: Va bene il ruolo della politica, ma il capitale sociale avrà pure una sua autonomia?
Sabatini: Le scelte politiche possono influenzare la coesione, le attitudini cooperative e la fiducia. Ma il capitale umano di ciascuno è fondamentale per filtrare gli stimoli di fronte alla politica ad esempio. Purtroppo non abbiamo la ricetta per creare capitale sociale ovunque ci sia bisogno di farlo. E la sua evoluzione in buona parte non è prevedibile. Di certo ci sono fattori che male non possono fare: la diffusione della cultura in senso lato, l?educazione e il capitale umano, la partecipazione.
Vita: Ma il capitale sociale può essere patrimonio di qualcuno e quindi può trovare una rappresentanza oppure è destinato a rimanere senza voce?
Sabatini: Se accettiamo che i rappresentanti delle associazioni siano rappresentanti del capitale sociale di un territorio, il capitale sociale è rappresentabile e può incidere sul buon funzionamento delle istituzioni e sul benessere delle comunità locali. A livello locale queste organizzazioni tendono di più a fare gli interessi della comunità, stimolando ad esempio le istituzioni democratiche a comportarsi bene. Certo il rappresentante potrebbe poi slegarsi dagli interessi della collettività che rappresenta, a causa di un meccanismo simile a quello cui assistiamo in politica: il politico cerca di massimizzare la possibilità di essere eletto e il proprio personalissimo profitto. Rischio al quale anche la società civile e i suoi rappresentanti sono esposti.
Fabio Sabatini, economista è ricercatore all?università di Siena, e collabora con il Centro studi per lo sviluppo della Sapienza di Roma. È autore, fra l?altro, del saggio Capitale sociale, imprese sociali, spesa pubblica e benessere sociale in Italia, apparso su Impresa sociale (aprile 2007). Cura il sito www.socialcapitalgateway.org
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