Economia

Capaldo: «Fisco zero per le imprese sociali»

La proposta dell'economista che spiega i motivi del flop annunciato dell'imprenditoria sociale

di Francesco Agresti

Un flop annunciato. Si è voluto esagerare, e ora il risultato è sotto gli occhi di tutti. L’errore più grande? «L’impossibilità di remunerare i capitali investiti». Pellegrino Capaldo ha le idee chiare sulle ragioni che hanno decretato finora lo scarso successo delle imprese sociali. Economista, professore universitario, banchiere, politico tante vite in una vissute tutte all’insegna dell’impegno civile. «Mi piace lavorare per cose che non vedrò», racconta Pellegrino Capaldo ricevendoci nella sala riunioni del suo studio a Roma. La sua ultima sfida è la Fondazione Nuovo Millennio per una Nuova Italia (www.perunanuovaitalia.it) con la quale ha raccolto oltre 400mila firme per un disegno di legge sul finanziamento ai partiti basata sul meccanismo di un credito d’imposta del 98% (ogni 100 euro donati a partiti e fondazioni di cultura politica, 98 vengono “scalati” dalle imposte). Sua l’idea delle Onlus. E porta la sua firma – quando era presidente della Banca di Roma – anche il primo tentativo di mettere la finanza al servizio del non profit, con la nascita di Cosis, la prima merchant bank dedicata al sociale. Un progetto che prese le mosse quando accostare i due mondi era considerato “blasfemo”. In questi anni non ha mai smesso di seguire con attenzione il non profit per questa ragione abbiamo chiesto a lui cosa c’è dietro il flop dell’impresa sociale. «Il decreto legislativo 155/06 contiene diversi errori», spiega .

Quali?
Il più grave è l’impossibilità di distribuire gli utili remunerando così anche il capitale. Ma il capitale non remunerabile è perduto, non ha più valore. Il legislatore ha voluto strafare ponendo un divieto assoluto. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Andrebbe invece prevista questa possibilità, non senza limiti, ma entro una soglia definibile come remunerazione congrua del capitale. Una percentuale che potrebbe essere ad esempio dell’8% con una revisione periodica legata all’andamento della congiuntura economica. Questa misura oltre a far confluire captali favorirebbe la partecipazione. Ma non basta.

Cos’altro servirebbe?
Zero imposte per le imprese sociali, ecco cos’altro ci vorrebbe. Una misura he dovrebbe rappresentare un tassello di una più ampia riforma che ridisegni il rapporto tra Stato e cittadino
con l’obiettivo di fondo di destatalizzare la società. Il primo passo di questo lungo percorso è una radicale riforma fiscale. Ora è chiaro che il primo passo deve farlo lo stato.

Nel processo di destatalizzazione il non profit che ruolo dovrebbe avere?
Deve accrescere il suo peso nella società e il suo ruolo politico. Urge una semplificazione normativa. Il non profit è un collante straordinario della nostra società, è un volano della coesione sociale, cosa di cui abbiamo un gran bisogno. Ma non deve essere ingabbiato in rigide norme che ne limitano le potenzialità. Va lasciato libero di agire nel suo e nel nostro interesse.

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