Cultura

Cannabis, la politica sta guardando al dito invece di puntare alla luna

«Legalizzare la coltivazione domestica di 4 piante per uso personale sul balcone di casa», dice Francesco Cicchi, presidente della Cooperativa Sociale Ama Aquilone, «sul mondo delle dipendenze impatta poco o niente. I problemi veri sono altri. Primo tra tutti la prevenzione, o ancora che alternative, che proposte, la società mette a disposizione sul versante della cura?»

di Anna Spena

Il testo base sulla cannabis è diventato, come spesso accade in Italia, l’ennesimo momento – sterile – per lanciarsi frecciatine politiche. E quindi, di fatto, un’altra occasione persa per fare una riflessione seria sulle tossicodipendenze. Nel testo si depenalizza la coltivazione di non oltre 4 piante ed è prevista, da un lato, una notevole riduzione di pena per i fatti di lieve entità dall’altro si aumentano da 6 a 10 anni le pene per i reati connessi a traffico, spaccio e detenzione ai fini di spaccio della cannabis.

Abbiamo chiesto a chi davvero sta professionalmente a contatto con le dipendenze, come, se, e quanto potrebbe incidere questo testo sul loro lavoro. Simone Feder, psicologo nelle strutture della comunità Casa del Giovane di Pavia, è stato chiaro: «Il tema non è legalizzare o no la cannabis. La priorità è non distogliere lo sguardo dai nostri giovani che dimostrano un disagio sempre più profondo». Trovate la sua testimonianza in questo articolo “Cannabis: l’attenzione non va posta su 4 piantine, ma sul disagio dei giovani”.

Sul fatto che i problemi seri di cui discutere siano altri è convinto Francesco Cicchi, presidente della cooperativa sociale Ama Aquilone, una delle realtà più rappresentative delle Marche, che gestisce strutture residenziali, delle vere Case, nella prospettiva di un’accoglienza ampia che, pur mantenendo la sua specificità terapeutica, abbracci un’idea di dignità intimamente legata all’incontro umano. «Legalizzare la coltivazione domestica di 4 piante per uso personale sul balcone di casa», dice Cicchi, «sul mondo delle dipendenze impatta poco o niente. I problemi veri sono altri. Primo tra tutti la prevenzione, o ancora che alternative, che proposte, la società mette a disposizione sul versante della cura?».

Proposte e alternative che pubblico e privato devono costruire insieme: «Sono anni che non ci incontriamo in una conferenza nazionale», dice Cicchi. «Ma mi sento di segnalare l’esperienza della Regione Marche, unica a livello nazionale, dove all’interno del dipartimento dipendenze patologiche lavorano il sert, il mondo delle comunità e l’unità di strada. E insieme si fa programmazione territoriale. Bisognerebbe esportare questo modello a livello nazionale, ma noi siamo “il paese dei comuni”».

La coltivazione in casa della cannabis è importante per i malati che ne devono fare uso terapeutico. «Se il legislatore vuole fare questa cosa per uso terapeutico, la faccia. Va benissimo. Non abbiamo nulla da dire, invece abbiamo molto da dire sul fatto che nessuno al Governo si ponga il problema delle persone devastate dalla droga. L’uso di sostanze sta cambiando, aumenta l’abuso di quelle sintetiche, aumentano i casi di doppia diagnosi, si abbassa sempre di più l’età media dei consumatori, in molti sono diventati poliassuntori. Che facciamo?».

«La verità». Aggiunge Cicchi, «è che il fenomeno della tossicodipendenza la politica lo tocca poco. Nell’immaginario collettivo il tossico è “se l’è cercata”. Nei mesi di lockdown il problema si è accentuato, non parliamo solo di droga, ma di tutte le dipendenze. Il disagio si tocca con mano, ma questo non viene raccontato».

Ci vorrebbe più coraggio: «Quando parliamo di droga, ma di dipendenze in generale, dobbiamo partire delle domande serie, giuste. Non fermarci alle 4 piante sul balcone. Chiediamoci: che vogliamo fare per le persone dipendenti? Come sviluppiamo programmi di prevenzione? Come combattiamo e contrastiamo lo spaccio di sostanze e tutto quello che afferisce al sommerso del mondo della tossicodipendenza che è inevitabilmente legato alla criminalità organizzata?».

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