Cultura
Candido, maestro e amico
Dal 2004 al 2008 una trilogia per raccontare l'Italia del volontariato
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa oggi la triste notizia della scomparsa di Candido Cannavò, in un messaggio ha ricordato “il giornalista di lungo corso che dalle colonne della Gazzetta dello Sport, di cui è stato per tanti anni direttore, e dalle più diverse tribune mediatiche, ha raccontato con passione e acutamente divulgato i valori di lealtà e di competizione che hanno reso sempre più popolare il gioco del calcio e lo sport italiano”.
Ma, negli ultimi anni, Cannavò fece di più di raccontare i valori della lealtà sportiva, racconto con ben tre libri, e con la passione di chi sa raccontare storie, i valori della cittadinanza in un’Italia sempre più spaesata.
Nel novembre 2005, Franco Bomprezzi, scrisse questo commento su Vita in occasione dell’uscita di “E li chiamano disabili”, un libro per cui Candido Cannavò aveva chiesto consigli e contatti alla nostra redazione: «Caro Cannavò, poche righe per dirti grazie. In quest’autunno sordo e grigio, il tuo libro E li chiamano disabili è una boccata d’ossigeno. Ci voleva proprio. Conosco molte delle storie che racconti, ne ho parlato per qualche anno, occupandomi da giornalista di persone disabili. Ma una cosa è se l’argomento resta fra “addetti ai lavori”, ben altra è se in libreria, fra i bestseller di una grande casa editrice, compare un titolo come il tuo. Un giornalista sportivo famoso, che ha diretto a lungo la Gazzetta dello Sport, ottiene il risultato di infrangere il muro del silenzio e la gabbia di vetro dell’invisibilità. Parli di persone normali, che svolgono ogni tipo di attività, dalla danza alla chirurgia, dallo spettacolo allo sport, dopo aver superato battaglie difficili e aspre per dimostrare ciò che dovrebbe essere ovvio e scontato, ossia il diritto ad una pari opportunità di vita. Ne abbiamo parlato, e ho visto i tuoi occhi illuminarsi quando raccontavi della cena al ristorante con Simona Atzori, la ballerina che non ha le braccia, e che con naturalezza usa i piedi per tagliare le pietanze e portare il cibo o il bicchiere alla bocca. Eri ammirato e divertito, avevi la curiosità del giornalista. Ecco perché non ho avuto niente da dire quando mi hai chiesto di entrare anch’io, semplice giornalista, nella tua galleria di “personaggi”. Mi sono sentito tranquillo, non correvo il rischio di essere “usato”, ma ero orgoglioso di far parte di una squadra vasta di persone che dimostrano ogni giorno in questo Paese che la disabilità può essere una grande risorsa. Ecco perché oggi che le associazioni si battono per non vedere diminuita la sicurezza sociale e limitati i diritti conquistati, spero che il tuo libro aiuti a cambiare rotta, a riprendere il flusso positivo, per aiutare anche chi non ce l’ha fatta. Grazie, Candido.Candido Cannavò: Grazie alla Provvidenza ho incontrato uomini che mi hanno reso la vita più bella e ricca»
Quel libro seguiva l’uscita di “Libertà dietro le sbarre”, e un anno dopo, Candido Cannavò coinvolse ancora la nostra redazione per qualche dritta e contatto.
Il nuovo libro si intitolava “Pretacci. Storie di uomini che portano il Vangelo sul marciapiedi”, l’ultimo di una trilogia sull’Italia che Cannavò definì così in un’intervista: “L’Italia non è la cretineria televisiva della sera, questa gente che si parla addosso, queste volgarità dell’“Isola dei famosi” o del “Grande fratello” e di tutte queste porcate che ci fanno vergognare di essere uomini. È anche l’Italia del volontariato, della buona volontà e attraverso questi viaggi, prima coi disabili e poi questo, ho scoperto di aprire il cuore alla speranza. Grazie a Dio c’è questa Italia”.
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