Welfare
Camusso e la giusta causa
Cgil in piazza, Pd in difficoltà, la riforma Fornero scricchiola
Tensione sindacale e fibrillazione politica sulla riforma del lavoro e dell’articolo 18. La decisione della Cgil di sfilarsi da un’intesa e di tornare in piazza costringe di fatto il Pd a prendere le distanze dalle proposte del ministro Elsa Fornero. La situazione è dunque molto fluida.
- In rassegna stampa anche:
- PIAZZA FONTANA
- FRANCIA
- CHIESA
“I no del Pd, la Cgil in piazza”, apre così il CORRIERE DELLA SERA. La sintesi: “La riforma del mercato del lavoro e la nuova disciplina dei licenziamenti incassano i no del Pd e il rifiuto della Cgil, che annuncia lo sciopero generale. Per D’Alema il nuovo articolo 18 è «confuso e pericoloso». Giallo sulla possibilità di estendere la normativa ai dipendenti pubblici, dagli statali ai dipendenti degli enti locali, in tutto tre milioni e quattrocento mila lavoratori (il 5,7% della popolazione). Ma dopo una giornata di veti, dichiarazioni e smentite, il ministro del Welfare, Elsa Fornero, spiega: non si applica. «Non a caso al tavolo non partecipa il ministro della Funzione pubblica, Patroni Griffi»”. “L’agitazione delle anime” è l’editoriale del CORRIERE affidato alla pena del riformista Michele Salvati: “Di una riforma che aggiornasse la nostra obsoleta disciplina avevamo un grande bisogno: non solo perché ce la chiedono l’Europa e i mercati, ma per le iniquità e gli ostacoli allo sviluppo che essa contiene. Il centrodestra e il centrosinistra che abbiamo conosciuto non l’avrebbero mai fatta e, se rimanessero gli stessi, mai la farebbero in futuro: bene hanno dunque fatto Monti e Fornero a proporla. La riforma è solo abbozzata. Alcune misure mi convincono, altre meno. Oltretutto non si tratta di un testo definitivo ed è probabile (anzi, sperabile) che il Parlamento lo discuta a fondo e dunque alcune misure vengano riformulate. E qui, forse, il Pd può recuperare in extremis quella credibilità che le sue incertezze hanno sinora appannato. Può farlo, però, solo se l’asino di Buridano decide a quale mucchio di fieno rivolgersi, se a quello riformista o a quello della conservazione sindacale: concentrarsi sull’articolo 18 e definire la sua riforma come «pericolosa e confusa», come ha fatto D’Alema, non è un buon segno. Così come non lo è avanzare l’argomento della sacralità della concertazione”. Ma la notizia che ha messo in apprensione e in fibrillazione ieri il mondo della politica e del lavoro apre pagina 2: “Il governo: nessuna modifica per gli statali”, un vero e proprio giallo sull’estensione agli statali delle norme sul licenziamento. Pagine di approfondimento sulle nuove norme (ancora da approvare, dopo le modifiche eventuali del Parlamento) e si arriva a pagina 6: “Camusso: sciopero. La partita sul lavoro non è affatto chiusa”. Annota Massimo Franco: “Dopo essersi sforzati per settimane di concedere, mediare, accettare un compromesso in nome dell’interesse generale, rivendicano la difesa dei propri interessi. Ma questo può far vacillare il governo. Può darsi sia un riflesso temporaneo. Il rischio che si accentuino le tensioni sociali e si logori la maggioranza trasversale a sostegno di Monti è ben visibile, però. Il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, lo critica negando che il risultato dell’altra sera possa definirsi un accordo. E aggiunge: «Non concludo la vita dando l’ok alla monetizzazione del lavoro». Bersani deve contenere i malumori del Pd, che vede in quanto è accaduto una vittoria del centrodestra”. Enrico Marro approfondisce la questione a pagina 8: “L’ultima offerta cgil: «salvare» il reintegro”. “Camusso, a porte chiuse, – racconta Marro – ha detto chiaramente che la Cgil non può aspettarsi di riconquistare l’articolo 18 tale e quale come scritto nello Statuto dei lavoratori del 1970. Il tabù è stato infranto e non si torna indietro. Pensare il contrario significherebbe prendere il giro i lavoratori, ha aggiunto. I quali invece, secondo il segretario della Cgil, possono e devono essere chiamati alla lotta, ma su un obiettivo realistico. Che, a questo punto, è quello di ottenere che anche sui licenziamenti per motivi economici sia il giudice a decidere tra reintegro e indennizzo del lavoratore licenziato illegittimamente. Un obiettivo che Camusso non ha esplicitato solo per ragioni tattiche, ma che tutti sanno essere il nuovo traguardo della Cgil”. Napolitano chiede moderazione (a pagina 9) e Monti conferma la linea di fermezza, delegando al Parlamento le eventuali modifiche. Lettere aperte sul tema al CORRIERE, da Roberto Maroni e Maurizio Sacconi (doppia firma!), e da Pietro Ichino.
LA REPUBBLICA sceglie il titolo-melodramma: “Pd e Cgil a Monti: fermatevi” e torna nel sommario alla sobrietà giornalistica: “Bersani: sull’articolo 18 bisogna cambiare. Camusso: sciopero generale”. Seguono sei pagine in cui si rende conto dei dubbi fortissimi della Cgil e della decisione di organizzare 16 ore di sciopero (8 nazionali, 8 locali), del pressing sul Pd e della presa di posizione di Bersani. Il Pdl è determinato però a non cambiare nemmeno una virgola del testo. «Quello di scaricare sui lavoratori, pensionati e pensionandi tutti i costi delle operazioni che vengono fatte» è per Camusso il filo rosso che collega la finanziaria, la riforma delle pensioni e questa del mercato del lavoro, che «non crea neanche un posto di lavoro». Nel retroscena, il quotidiano diretto da Ezio Mauro spiega che Monti vorrebbe il decreto (come il Pdl), mentre Bersani tenta la carta della legge delega per far crescere un movimento di opinione che spinga l’esecutivo su un’altra strada. In realtà però il Pd continua a essere diviso: Bersani e D’Alema bocciano il testo, che piace però a Gentiloni, Fioroni, Letta, Ichino… Gli altri partiti sono divisi: per Di Pietro ci sarà un «Vietnam parlamentare», espressione infelice quante altre mai. Per Casini le misure sono coraggiose: «occorre senso di responsabilità.. Con liberalizzazioni e riforme previdenziali si sono toccate realtà delicate, oggi i sindacati vivono una loro sofferenza. Ma non si poteva agire diversamente», sentenzia. Di “Riforma del Gattopardo” parlano esplicitamente Tito Boeri e Pietro Garibaldi: «ha due pregi e molti difetti». I primi sono il fatto che chiude la stagione del diritto di veto ed è una riforma ampia. Tra i secondi la formulazione dell’articolo 18: «la distinzione fra licenziamento economico e disciplinare è nella pratica molto labile… con la riforma si trasferisce un potere enorme ai giudici». Sugli ammortizzatori sociali non c’è allargamento nella platea dei potenziali beneficiari (precari e lavoratori a progetto rimangono esclusi). Non c’è il riordino degli strumenti esistenti. Non verrà abolita la Cassa integrazione straordinaria né quella in deroga. Il maggior carico contributivo potrebbe essere fatto pesare sulle spalle dei parasubordinati. Insomma c’è il rischio che non cambi nulla e che addirittura si riduca il numero degli occupati.
«Panico fra gli statali» è il titolone di prima pagina de IL GIORNALE. All’argomento è dedicato il commento del vicedirettore Nicola Porro: «Addio concertazione ma pagano le imprese». Scrive Porro: «Mario Monti lo aveva detto: chiederemo a tutti di rinunciare a qualcosa. E in effetti la bozza di riforma del lavoro che circola non accontenta pienamente nessuno. Il Pd si spacca tra l’ala sinistra (con la mezz’ala Bersani) e i montiani: non va giù, soprattutto pensando alle prossime campagne elettorali, la rottura del tabù articolo 18. Il Pdl si dice soddisfatto, ma l’anima più tecnica e vicina all’ex ministro Sacconi conosce bene alcune conseguenze pesanti che deriveranno per l’elettorato moderato. Confindustria perde sui contratti flessibili, le piccole imprese sul costo del lavoro e i sindacati sulla loro centralità. D’altronde una riforma che accontenti tutti che riforma è?». La cronaca di Antonio Signorini parte invece dagli statali: «Più che un annuncio, una smagliatura che ha rivelato la confusione nel governo sulla strada da prendere sul pubblico impiego. Le nuove regole per la “flessibilità in uscita”, alias modifiche all’articolo 18 che renderanno più facili i licenziamenti, saranno in qualche modo allargate agli statali. La notizia, proveniente dal ministero della Funzione pubblica, è uscita ieri mattina ed è stata seguita da una serie di smentite».
“La Cgil proclama scioperi (di 16 ore) e manifestazioni contro la cancellazione dell’articolo 18, che potrebbe riguardare anche il pubblico impiego. Camusso: «Ci saranno espulsioni di massa, il governo non è attento alla coesione sociale. Ma la partita non è chiusa». Operai già in piazza dal Piemonte alla Sicilia” Questo il sommario che spiega in prima pagina su IL MANIFESTO la posizione Cgil sotto il titolo di apertura “La giusta causa”. Quattro le pagine complessivamente dedicate alla questione (dalla 2 alla 5) con un secondo richiamo a centro pagina che punto l’obiettivo sui Democratici “Bersani stavolta rischia tutto”. “Sul lavoro – come si conviene a un partito di «sinistra» – Pierluigi Bersani si gioca la segreteria, la leadership e perfino l’unità del partito (…)” anticipa il richiamo che rinvia a pagina 3. “Sciopero generale, quasi” è il titolo che apre pagina 2, mentre alla 3, di spalla si torna sul Pd e nel taglio centrale la posizione dell’Idv con un’intervista a Maurizio Zipponi, responsabile lavoro «Sono solo licenziamenti facili, e i giovani sono fregati due volte» è la frase scelta come titolo. Alle pagine 4 e 5, il tema è affrontato puntando sugli statali “Licenziamenti di stato” è infatti il titolo di apertura accanto a una grande foto di Mario Manti. Nel sommario si legge: “Giallo sull’abrogazione dell’articolo 18 anche per gli statali. Scontro Cisl-Funzione pubblica. Oggi Fornero guida l’ultima trattativa con il nodo decreto subito, ddl dai tempi lunghi o mix di norme”, mentre un secondo sommario mette sull’avviso “Dietro le quinte camera e senato già litigano su dove iniziare l’esame del testo”. “La marmellata dei diritti” è invece il commento sul tema lavoro a firma Umberto Romagnoli che inizia in prima pagina e prosegue a pagina 5. Si legge «(…) Per ora, si sa che le cose hanno preso la piega che i governo voleva fin dall’inizio. Il suo obiettivo era quello di restituire all’impresa la libertà di gestire la manodopera che le aveva tolto la prima legge in materia di licenziamento entrata in vigore nel luglio 1966 malgrado l’aperto dissenso della Cisl e dei suoi parlamentari (…)» e si fa notare che l’obiettivo è temerario «visto che nel frattempo persino la costituzione europea stabilisce che il licenziamento è ammesso soltanto se è giustificato (…)».
IL SOLE 24 ORE apre sulla riforma del lavoro puntando su un aspetto particolare “Fondo per gli over 58 che perdono il lavoro”. A pagina 2 le ricadute politiche, con in particolare un focus su un lavoro di mediazione sull’articolo 18 “Su art. 18 e tempo determinato spunta la mediazione Pd-Pdl”: «Nel Pd si sta già lavorando agli emendamenti su cui il partito di Bersani darà battaglia. Magari cercando la sponda di tutti e anche della Lega di Umberto Bossi che ieri si è unito al «no» sulla modifica all’articolo 18. Strane alleanze potrebbero crearsi in Parlamento. O anche mediazioni politiche nell’ambito della stessa maggioranza che regge il Governo Monti. Questa è la strada che alcuni pontieri del Pd e del Pdl stanno esplorando. Innanzitutto il fronte “democratico” appare concentrato su tre modifiche, come spiega Stefano Fassina: “L’introduzione del modello tedesco – opzione tra reintegro e indennizzo – per i licenziamenti individuali economici; l’estensione degli ammortizzatori per i precari; le politiche attive per l’impiego o il reimpiego”. Bene, questa piattaforma potrebbe incrociare anche il Pdl anche se fino a ieri il partito di Angelino Alfano cercava di trarre il massimo beneficio politico dai “costi” che invece sta pagando Bersani. La mediazione la spiega Giuliano Cazzola, deputato Pdl bolognese, “esperto” di questioni previdenziali e di lavoro. “Cercherò di convincere il mio partito ad appoggiare la proposta del Pd sul modello tedesco per l’articolo 18 e, in cambio, cercare il loro appoggio per cambiare le norme sulla flessibilità in ingresso – a partire dal contratto a tempo determinato – che rischiano di danneggiare le imprese soprattutto le piccole”. Insomma, il trade off tra le due forze principali che sostengono il Governo potrebbe essere proprio quello di ammorbidire la norma sui licenziamenti in cambio di rivedere la “penalizzazione” sull’uso del tempo determinato o delle partite Iva. Nelle prossime ore si discuterà la proposta-Cazzola anche se, alla prima riunione di ieri del Pd, il problema dei contratti d’ingresso si è posto».
Su ITALIA OGGI un pezzo a pag. 3 “La Cgil sfida Monti: non è finita” inquadra le istanze della Camusso «la partita non è finita qui» e quella del Pd con Bersani che dice ieri si è lamentato per il fatto che i patti non erano questi e che «non morirà dando il via libera alla monetizzazione del lavoro». A pag 6, il pezzo “Statali a rischio licenziamento” fa il punto su come l’art. 18 si applicherà a 3, 5 milioni di dipendenti pubblici.
«La partita non è chiusa» e la Cgil annuncia una protesa che «non sarà un fuoco di paglia». Susanna Camusso campeggia a pagina 4 di AVVENIRE, con l’allarme per un «biennio di espulsioni di massa». Eppure – è venuto fuori ieri – anche la Cgil aveva accettato una modifica dell’articolo 18: i sindacati infatti avevano presentato al Governo l’ipotesi di lasciare come sono i licenziamenti soggettivi e discriminatori, e di far valutare il giudice su quello economici. Proposta insufficiente per il Governo. Ecco quindi che, dopo una breve stagione di collaborazione, «le confederazioni sono tornate a parlare lingue diverse», compatti però sul fatto che le nuove regole non si applichino al pubblico impiego. Sul versante politico, Bersani si è «preso l’impegno di cambiare in Aula» il provvedimento, perché «Monti non ci può dire prendere o lasciare». In un’intervista Savino Pezzotta dice che «conta di più la coesione sociale dell’articolo 18», cioè sarebbe stato meglio una riforma condivisa e dice no al decreto, perché «la riforma, pure necessaria, ha bisogno di alcune correzioni. Più tempo sarebbe servito». A margine una riflessione di Luigino Bruni, nell’editoriale: il dibattito attorno all’articolo 18 sta ragionando ancora come se l’asse della dialettica sociale fosse il conflitto tra imprenditore e lavoratori, mentre non è così. Il conflitto oggi è tra rendite e mondo dell’impresa. E l’impresa soffre «non tanto perché non riesce a licenziare i lavoratori fannulloni ma per un’abnorme tassazione del lavoro e per una crisi di speranza che non spinge la gente a intraprendere nuove attività economiche».
“Lavoro, da Pd stop a Monti”, apre così LA STAMPA di oggi. Il quotidiano torinese propone un approfondimento di Federico Geremicca (“Un vicolo cieco per il partito di Bersani”. Geremicca vede un Pd scavalcato a sinistra con Vendola e Di Pietro che alzano i toni per lucrare consensi e voti a sinistra, intanto il suo partito si spacca a metà mettendo così a rischio la stessa tenuta del governo, mentre gli elettori del centrosinistra vedono il governo sempre più lontano dalla loro parte politica»), mentre Fabio Martini nel suo retroscena indaga la strategia della Camusso (“Susanna nel bunker. Ma a sorpresa parla da “forza tranquilla”): «Camusso si è fatta votare dal Direttivo della Cgil un corposo pacchetto di ore di sciopero, una «paccata» di 16 ore, ma, intuendo che fuori il vento stava girando, si è presentata in sala stampa e, a sorpresa, si è rivolta con toni misurati «a tutto il Parlamento». Tutto il Parlamento significa non solo il Pd, ma anche la Lega, l’Idv, i futuristi finiani e i tanti parlamentari dubbiosi del centrodestra. E così, assieme a tante accuse taglienti rivolte al governo (quelle sì, «dovute» e scontate), la segretaria generale ha lasciato trapelare concetti di altro tenore. Distillando un linguaggio da «vecchia» Cgil, diverso da quello del leader della Fiom Maurizio Landini, Camusso ci ha tenuto a spiegare che la sua è «una organizzazione tranquilla e rigorosa», che la «partita non è chiusa». E ancora: «Difficile capire come finirà stavolta, ma ieri mattina nel palazzo ex fascista di corso Italia, hanno capito subito che l’isolamento poteva esser forzato. Lo hanno capito dopo l’intervento ad «Agorà» di Fabrizio Barca, un economista che è anche uno dei ministri più stimati da Monti. Il ministro per la Coesione territoriale ha sostenuto l’impossibilità, per un lavoratore licenziato per motivi economici, di tutelare il proprio diritto, nel caso si senta discriminato. Poi, il crescendo di pesanti dichiarazioni anti-riforma da parte di esponenti del Pd, il pasticcio sull’applicazione della riforma anche agli statali, il perdurante silenzio di Palazzo Chigi sullo strumento legislativo col quale presentare la riforma in Parlamento, hanno fatto capire alla Camusso che il vento stava girando». In coda all’attualità LA STAMPA pubblica un dossier di quattro pagine incentrate sulla riforma.
E inoltre sui giornali di oggi:
PIAZZA FONTANA
LA REPUBBLICA – Un lungo pezzo di Eugenio Scalfari sulla prima strage e i 40 anni di mistero che sono seguiti. La settimana prossima esce il film di Marco Tullio Giordana. «Un film che non è un film. I personaggi sono veri ma ovviamente rappresentati da (bravissimi) attori. I fatti sono realmente accaduti e fanno parte della galleria storica del nostro Paese, ma alcuni sono frutto di induzioni e libere interpretazioni degli sceneggiatori e del regista». «La strategia della tensione è stata purtroppo una presenza dominante nella seconda metà del secolo scorso… ci furono un’estrema destra e un’estrema sinistra che si contrapponevano usando i mezzi illegali della violenza… e c’è un’altra forza che aizza la destra e la sinistra affinché la violenza esploda, organizza misteriosi provocatori, finanzia operazioni clandestine, corrompe e usa le istituzioni dello Stato per alimentare il disordine anziché controllarlo e spegnerlo. In questa arena si è cimentato anche un certo tipo di stampa e soprattutto si cimentano i servizi segreti, le agenzie di “intelligence” di Stati stranieri, le logge segrete para-massoniche e la criminalità organizzata».
FRANCIA
MANIFESTO – Richiamo in prima pagina, editoriale e due pagine all’interno sono dedicate agli eventi di Tolosa “Inventare un nemico” è il titolo del commento di Ali Rashid in prima che esordisce: «Con scellerata leggerezza si tenta oggi di attribuire a una causa i crimini efferati. Sia i vinti e disperati, che gli onnipotenti e gli arroganti, hanno bisogno di una causa, una ideologia o un Dio per giustificare i loro crimini, scaturiti dall’angolo buio della loro ignoranza (…)» e più avanti «(…) Le tragiche condizioni di vita dei bambini e degli adulti palestinesi, vittime della barbara occupazione Israeliana, non autorizzano a nessun criminale, singolo o gruppo che sia, di versare altro sangue innocente (…)». Le pagine 8 e 9 interamente dedicate ai fatti affrontano gli eventi guardando sia alla campagna elettorale francese con il taglio centrale “Sarkozy fa il presidente dell’unità Le Pen alla controffensiva”. A pagina 8 l’analisi è affidata a Zvi Schuldiner nell’articolo dal titolo “Il terreno di coltura del fondamentalismo, dalla Francia a Kandahar”, nel sommario si legge “Il sangue di bambini innocenti è il sangue di bambini innocenti e non possono esserci attenuanti per nessuno, né giustificazioni”. Nell’articolo si osserva «(…) non c’è un solo islam, un solo ebraismo o un solo cristianesimo ma una ricca varietà di correnti e di credenze, e il fondamentalismo non è altro che la versione estrema e politica delle diverse religioni (…)»
CHIESA
LA STAMPA – Andrea Tornielli firma una lunga intervista (copre per intero le pagine 20 e 21) al segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone (“Bertone: Il Papa a Cuba aiuterà il cammino verso la democrazia”). Ecco i passaggi più importanti. Iran: «la via per risolvere i problemi e i conflitti, anche quelli più difficili è quella del dialogo, non della guerra. Papa Wojtyla diceva: con la guerra tutto può essere perduto». Cina: «il dialogo non è spezzato anche se è faticoso e a corrente alternata. I contatti con Pechino continuano e prevediamo sviluppi positivi». Il San Raffaele:«Il nostro intervento ha evitato che si dichiarasse il fallimento. Ha assicurato il lavoro ai dipendenti e mantenuto il livello dei servizi e dei pazienti». La corruzione in Vaticano: «Che chi considera i vati-leaks una manovra per delegittimarmi davanti al papa. Non mi spiego questa improvvisa aggressività contro di me. Non sono cambiato».
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