Un bellissimo articolo di Luca Doninelli (leggetelo qui), mi ricorda che oggi corrono i 50 anni dalla morte di Albert Camus. il 4 gennaio del 1960, un incidente stradale lo portava via, a soli quarantasei anni. Nella sua borsa, rinvenuta sul luogo dell’incidente, c’era un manoscritto, centoquaranta fogli coperti da una scrittura fitta: era il romanzo Il primo uomo.
Proprio questa notizia biografica mi permette di sottolineare uno degli aspetti che più mi ha colpito in lui (sarebbero tanti a dir il vero, dai testi contro la pena di morte, al suo teatro, al suo essere sempre fuori dai cori). Un aspetto che parrebbe piccolo ma che invece è così essenziale: la passione per i giovani. Albert Camus proprio in Il Primo uomo, ricordando il suo maestro ad Algeri, scriveva: «Col signor Bernard le lezioni erano sempre interessanti, per la semplice ragione che lui amava appassionatamente il proprio mestiere (…) La scuola (…)-almeno nella classe del signor Bernard- appagava una sete ancor più essenziale per il ragazzo che per l’adulto, la sete della scoperta. Certo, anche nelle altre classi si insegnavano molte cose, ma un po’ come siingozzano le oche. Si presentava il cibo preconfezionato e si invitavano i ragazzi a inghiottirlo. Nella sua classe, per la prima volta in vita loro, sentivano invece di esistere e di essere oggetto della più alta considerazione: li si giudicava degni di scoprire il mondo».
Già, chi oggi, a cominciare dai 30enni e su su sino agli over sessanta, guarda i ragazzi con questo sguardo? Chi oggi nella sua azione, piccola o grande che sia, giudica i ragazzi degni di scoprire il mondo? E magari degni di cambiarlo? Chi è capace di offrirsi allo sguardo di un giovane pronto a rendere ragione delle sue scelte e pronto soprattutto a farsi contestare nelle sue ragioni?
Ragazzi, Camus è un amico.
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