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Camus, moralismo virus del giornalismo

di Redazione

Nel novembre del 1944, sulle pagine di Combat, Albert Camus rifletteva sulla necessità di un giornalismo non solo critico, ma autocritico. Una «creazione vivente», la chiamava Camus, di cui proprio in questi giorni Bompiani manda in libreria una raccolta di articoli (Questa lotta vi riguarda, pp. 630, euro 19,50).

Il mestiere di giornalista con le esigenze del buon senso e della semplice onestà intellettuale, non è senza pericoli. Mentre si aspira al meglio, ci si dedica a giudicare il peggio, e talvolta anche soltanto il meno peggio. In breve, si può assumere l’atteggiamento sistematico del giudice, del pedagogo o del professore di morale. Da qui alla presunzione o alla stupidità non c’è che un passo, che speriamo di non aver compiuto. L’attualità è esigente e la linea che separa la morale dal moralismo è incerta. Per stanchezza e inavvertenza, capita non di rado di superarla. Come sfuggire a questo pericolo? Con l’esercizio dell’ironia. Ma, purtroppo, non viviamo in un’epoca di ironia. Il nostro è ancora il tempo dell’indignazione. Facciamo allora in modo di conservare, accada quel che accada, il senso del relativo, e tutto sarà salvo. (…) La giustizia non è solo un’idea ma un calore dell’anima. Prendiamola dunque per quel che essa ha di umano, senza trasformarla in quella terribile passione astratta che ha mutilato tanti uomini. Non siamo alieni dall’ironia e non prendiamo sul serio noi, quanto piuttosto la dura prova che attraversa il paese e la formidabile esperienza che oggi gli occorre di vivere.

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