Formazione

Campus: c’è un indice di vitalità

Basandosi sulle best practice delle università internazionali,promuove o boccia gli atenei nostrani.Su tre materie: vita nel campus, attivismo e offerta formativa.

di Carlotta Jesi

A Princeton, storico ateneo americano, gli studenti imparano a fare i manager creando piccole imprese di copisteria, lavanderia e catering che servono l?intera popolazione del campus. A Edimburgo, prof e matricole fanno il car pooling per andare a lezione. Negli atenei di Barcellona si mangiano più snack equosolidali che fette di tortilla e da Fontainebleau a Singapore, passando per altre mitiche sedi di master come Oxford, è gara tra chi attira più iscritti con programmi che offrono casa, babysitter e borse di studio per postgraduates con prole al seguito. E in Italia? Come rispondono i nostri atenei ai bisogni di una generazione che, oltre a un Mba, valuta importante l?etica, la famiglia, gli stili di vita sostenibili e l?attivismo? Abbiamo deciso di scoprirlo creando un termometro che misuri la vitalità dei campus nostrani. Vitalità, avete capito bene: intesa come quel mix di energia, continua ricerca di stimoli, curiosità e capacità di rinnovarsi che rende una persona interessante. Tre i campi in cui vogliamo indagare quanto siano interessanti le nostre università, assegnando loro un punteggio di vitalità che può essere basso, medio o alto: vita nel campus, attivismo e offerta formativa. Per ogni campo, basandoci sulle best practice degli atenei del mondo, abbiamo stilato un elenco di iniziative che ci piacerebbe trovare anche in Italia. Nel caso della vita nel campus, per esempio, alcune buone pratiche di riferimento sono la presenza di mense e macchinette equosolidali, la diffusione del sistema operativo Linux, la presenza di reti wireless e di pensionati che utilizzano cibo bio e biancheria di cotone organico. Per misurare l?attivismo di un campus, invece, controlliamo se organizza manifestazioni, campagne di sensibilizzazione, boicottaggi e se ha weblog, radio e tv studentesche. Mentre la presenza di incubatori di impresa e di materiale didattico scaricabile da Internet sono alcuni dei criteri su cui basiamo il voto sull?offerta formativa. Ad aiutarci nel monitoraggio sono gli studenti, che partecipano all?assegnazione del voto secondo questo criterio: se nessuna o poche delle best practice esiste nelle nostre università è ?basso?, se ne esiste un buon numero è ?medio?, se ne esistono molte è ?alto?. Il primo campus esaminato è Bologna, l?università più antica del mondo, che dimostra di essere all?altezza della sua fama guadagnando due punteggi medi e uno alto. A testimoniare la sua vitalità sono la diffusione di Linux e visiting professor di grido. Aiutateci a misurare la vitalità del vostro ateneo con segnalazione a studium@vita.it Extrafile Mense equosolidali A Londra e Vienna pausa caffè etica Il modo migliore per avvicinare i giovani ai prodotti equosolidali? Paolo Pastore, di Transfair, non ha dubbi: «Farglieli trovare in università». Transfair ne ha le prove: «In Uk, dove si registra il consumo equosolidale più alto d?Europa, con Oxfam abbiamo installato distributori in quasi tutti gli atenei». E in Italia? Siamo appena agli inizi: servono caffè equo i bar degli atenei di Parma, Pisa e della Cattolica di Milano. E distributori di snack e bibite etiche sono stati installati nelle università di Bologna, Reggio Emilia e Roma Tre. Anni luce dietro alla Spagna, che annovera distributori di caffè Fairtrade a Navarra, Siviglia, Alicante, Murcia, La Coruna, Valencia e in quasi tutti i dipartimenti dell?università di Barcellona divenuta un ?case study? nei documenti sull?Agenda 21 dell?Ue. Ci battono anche Austria e Germania: l?università di Vienna ha inserito caffè equo in tutti i suoi distributori automatici e a Colonia si servono prodotti certificati Fairtrade nel bar principale dell?ateneo, cosa che avviene anche a Monaco e a Stoccarda. Infofile Bilancio sociale a Forlì Valerio Melandri: Il bilancio è un segno di coerenza Per Valerio Melandri, docente di Economia aziendale e strategia e politica aziendale presso l?università di Bologna, è una questione di coerenza: «Con ciò che si insegna, per poterlo dimostrare di fronte agli studenti e alla città». Nel Polo scientifico e didattico di Forlì, da quest?anno si pubblica il bilancio sociale, redatto, in collaborazione con NoProfitLab, da un giovane laureato, Ruggero Villani, che aveva iniziato il lavoro con una tesi di laurea sull?argomento. «Il bilancio sociale è un modo per poter dire ai propri studenti che si lavora con le logiche di trasparenza, accountability e responsabilità che insegniamo loro». Alla base di tutto questo c?è un concetto di docenza che è prima di tutto «il racconto di un?esperienza più che l?imposizione di un modo di fare o di pensare», spiega Melandri. «D?altra parte,io vado in bicicletta ogni week-end e la prima cosa che ho chiesto al mio gruppo è di rendere chiaro e trasparente l?utilizzo del denaro comune, è indispensabile». Daniela Verlicchi


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