Formazione

Campioni d’oro ma senza un soldo

Nelle Olimpiadi per disabili svoltesi nel North Carolina i nostri atleti hanno fatto incetta di medaglie (78) e diversi record.

di Pasquale Coccia

La loro preparazione fisica è stata meticolosa come quella degli atleti che vanno alle olimpiadi e alla fine sono tornati con un medagliere di tutto rispetto. Gli atleti con handicap psichici e sensoriali aderenti alla federazione italiana sport disabili (Fisd), si sono presentati a Special Olimpics, la manifestazione sportiva internazionale che come ogni anno si svolge nel North Carolina, e hanno fatto incetta di medaglie: 28 d’oro, 24 d’argento e 17 di bronzo.
La squadra italiana costituita da 58 atleti, in forse per la trasferta americana fino all’ultimo momento (a causa della riduzione del 30% dei finanziamenti attuati dal Coni anche verso la Fisd), si è fatta applaudire più volte dagli oltre 50 mila spettatori che hanno seguito le varie gare, visto che per ben dieci volte alcuni atleti sono saliti sul gradino più alto del podio per ricevere la medaglia d’oro. Come la squadra di nuoto che ha conquistato l’oro nella staffetta, stabilendo tempi da record. Le sorprese più inaspettate, però, sono arrivate dall’atletica leggera, dove i nostri atleti hanno conquistato ben 16 medaglie, delle quali 7 d’oro. Risultati che Alfredo Minutillo, allenatore della nazionale di atletica leggera, commenta con giusta soddisfazione. «Abbiamo condotto un’ottima preparazione nel corso degli ultimi quattro mesi», ricorda l’allenatore, «e alcune medaglie rientravano nei nostri obiettivi, mentre sono giunte a sorpresa le due medaglie nella staffetta, un risultato che ci consente di occupare il terzo posto nella classifica mondiale a squadre, dietro Arabia Saudita e Guatemala».
Il più felice di tutti è Angelo Enea, un ragazzo down di 23 anni dedito alla ginnastica artistica, che nel North Carolina ha conquistato due medaglie d’oro, una delle quali agli anelli, contribuendo in maniera determinante a raggiungere il 10% del totale delle medaglie assegnate alla squadra italiana. «Il mio idolo è Yuri Chechi», dice Angelo, «mi alleno da sette anni e negli ultimi mesi sono passato da due a quattro allenamenti settimanali. È la prima volta che partecipo a Special Olimpics e perciò volevo vincere a tutti i costi una medaglia, come ripetevo ai miei amici di palestra. Quando poi è arrivata la seconda sono stato proprio felice, anche perché il mio avversario era molto bravo e mi ha dato filo da torcere fino all’ultimo». Non manca perfino chi, come Silvia Borgogelli, medaglia d’oro nell’equitazione, attribuisce tutti i meriti alla bravura del suo cavallo.
La rappresentativa italiana ha potuto svolgere al meglio gli allenamenti sul posto, grazie all’ottimo livello di organizzazione dei promotori di Special Olimpics, che ha messo a disposizione ben 20 campi, solitamente usati dagli atleti delle università americane, contando anche sull’impegno di oltre 35 mila volontari.
Alla manifestazione sportiva, che si propone ogni quattro anni fin dal 1968 nel North Carolina, hanno preso parte ben 7 mila atleti provenienti da circa 150 Paesi, oltre agli allenatori, agli accompagnatori e ai familiari dei ragazzi. Ma l’evento, definito dal presidente Bill Clinton «l’avvenimento sportivo mondiale più importante dell’anno», è passato del tutto inosservato sulla stampa sportiva italiana, nonostante le medaglie conquistate dai disabili mentali finiscano nel computo totale di quelle del movimento olimpico italiano e presentate dal Coni come fiore all’occhiello dello sport agonistico.
Ad accoglierli all’aeroporto poche persone: solamente i familiari e i loro amici. Nessun riflettore accesso, nessuna intervista. Ma loro, i campioni di queste Olimpiadi davvero speciali, a questo silenzio ci sono abituati. Anche se, qualcuno di loro, davanti al medagliere tutto d’oro, alla fine qualche sassolino dalla scarpe se l’è voluto togliere: «I nostri atleti», rivela Nicola Mazzarese, vice capo della delegazione italiana, «erano gli unici a non avere uno sponsor. E per mancanza di soldi, abbiamo dovuto limitare il numero dei partecipanti, lasciando a casa molti ragazzi».

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