Formazione

Campioni a perdere

Sono quasi due milioni e rappresentano lo zoccolo duro dello sport agonistico. I più fortunati trovano un posto da allenatore, per gli altri comincia la caccia a un nuovo mestiere.

di Pasquale Coccia

Professione sportivo. Corrono contro il cronometro, tirano a canestro per affinare la precisione, oppure il pallone in rete per centinaia di volte al giorno e, soprattutto, allenano i muscoli per vincere il più possibile . Riscuotono lo stipendio dopo aver sudato. Sono gli atleti dediti allo sport agonistico, che per loro rappresenta la principale (e per molti unica) fonte di reddito. Quotidianamente si recano presso gli impianti sportivi e si allenano da soli o in gruppo a seconda dello sport che praticano. Sono 1 milione e 700 mila e rappresentano lo sport di provincia: dal calcio alla pallavolo, dall?atletica al basket. Sono bravi, dotati, vivono di sport agonistico e percepiscono uno stipendio medio di 3 milioni al mese. La loro carriera sportiva va dai 20 ai 35 anni, al termine della quale, quando il confronto con gli altri non regge più, appendono le scarpe al chiodo e si trovano senza lavoro. Soprattutto privi di diritti previdenziali che nessuno ha provveduto a sancire e una pensione che non arriverà mai. Anche gli atleti che hanno gareggiato con le Federazioni sportive del Coni non maturano alcun diritto.
Un?attività anomala, quella dello sportivo di professione, che ha consentito a un settore economicamente solido di evadere miliardi e calpestare i più elementari diritti previdenziali. Un settore florido e variegato, che comprende le squadre della provincia, e vive di sponsor di piccole e medie industrie. Agli atleti piu fortunati promettono il posto in banca a fine carriera, altri trovano posto come ragionieri presso le ditte che hanno sponsorizzato le società sportive, ma i più finiscono in un mondo di attività sommerse e precarie solo tangenzialmente confinante con il mondo dello sport.
I diritti negati non possono fare eccezione, soprattutto nel settore dello sport che in Italia incide per il 2,5 sul prodotto interno lordo, pari a 46 mila miliardi. «Oggi l?unico riferimento per gli atleti è costituito dalla legge n.91 del 1981, che individua i soggetti sportivi considerati professionisti», afferma Pietro Soldini, responsabile Sport della Cgil, «mentre per gli atleti dilettanti, che non sono previsti come figura dalla legge, si rimanda alle federazioni sportive del Coni il compito di definire il loro status». «Ma le federazioni», continua il dirigente sindacale, «mentre provvedono a dettare regole e doveri, in totale dispregio dei diritti sociali più elementari non si curano di regolare i contributi pensionistici».
Se si escludono gli atleti di alto livello agonistico, che hanno raggiunto una fama internazionale e firmano contratti miliardari con i loro sponsor e gli atleti ingaggiati dai gruppi sportivi dei corpi militari (come la Polizia, la Guardia di Finanza, i Carabinieri ecc), la maggior parte di questo vasto esercito sportivo resta a mani vuote. A tasche piene restano coloro che hanno evaso i contributi previdenziali: le società sportive, il Coni, gli sponsor. Un?evasione contributiva che riguarda ben 17 mila miliardi e rende nero il futuro di atleti che vivranno in maniera precaria per tutta la vita.
Fino ai 35 anni, infatti, secondo uno studio condotto dalla Cgil, buona parte di loro investe i risparmi in attività commerciali come il negozio di abbigliamento sportivo, il bar dello sport o la palestra. A volte non mancano attività surrettizie come le collaborazioni alla Tv o alla radio locale in tema di sport. Solo il 20% degli atleti trova una collocazione privilegiata, in banca o nelle assicurazioni, mentre per il restante 80% resta l?incertezza del domani.

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