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Campiglio: i figli, veri deboli

«Nei Pacs si affronta tutto. Ma sui bambini non si fa cenno, se non per le adozioni gay. E invece loro sono la vera discriminante»

di Benedetta Verrini

«Gli inglesi dicono: ?Non è la coda che fa muovere il cane?. Ecco, a me pare proprio il proverbio giusto per il dibattito italiano sulle unioni di fatto». Luigi Campiglio, ordinario di economia politica, prorettore dell?università Cattolica di Milano, confessa che sulle polemiche arroventate di questi giorni sente l?amaro in bocca. Perché, superando qualsiasi valutazione ideologica sulla questione ?Pacs? o ?Ccs?, «da una classe politica che dice di avere a cuore gli interessi del Paese, mi attendevo una preoccupazione maggiore sui più deboli, i bambini», commenta. Vita: Ci può spiegare meglio, professore? Luigi Campiglio: In questo dibattito sulle unioni di fatto si è parlato di casa, di malattia, di eredità e di tanti altri problemi privatistici. Di figli, zero. Sono stati nominati forse solo riguardo all?ipotesi di adozioni da parte dei gay. Eppure, mi pare proprio che dovrebbero essere la principale discriminante, visto che sono in assoluto i più deboli, visto che rischiano di vivere sulla loro pelle le eventualità negative dell?unione di fatto, dalla perdita della casa fino alla morte dei genitori. Vita: Ecco, per proseguire nella metafora anglosassone? siamo partiti dalla coda e ci siamo persi il cane? Campiglio: Sì, ma attenzione: con ciò non intendo dire che quello sulle unioni di fatto sia un problema minore, ma semplicemente che è di minore impatto dal punto di vista quantitativo. Mentre discutiamo di questo, infatti, dimentichiamo che il nostro Paese si trova tra i più arretrati in Europa per quello che riguarda le politiche familiari. Lo stesso paragone con quanto si è realizzato in Francia riguardo ai Pacs non regge: là si è partiti da una visione e un dibattito sulla famiglia di lunga data, che ha condotto a costruire un sistema di welfare molto avanzato. Vita: Torniamo al problema centrale, insomma: le politiche a sostegno delle parti più deboli della società. Campiglio: Più deboli e meno difese. Tra questi gruppi sociali ?fragili? ci sono circa 10 milioni di minori, che nessuno pare essere interessato a tutelare. E se, oltre a questo, pensiamo all?altissima incidenza della povertà tra le famiglie monoparentali, costituite al 95% da donne sole con figli, è evidente che il discorso sulle convivenze ha preso una strada che non è la sua. Vita: Ma quando parliamo di unioni di fatto, secondo lei, a cosa ci riferiamo? Campiglio: A una realtà straordinariamente eterogenea a cui, anziché dare una risposta unica, si dovrebbe offrire un sostegno differenziato, affrontando le singole istanze, i singoli problemi, e cercando una risposta da un punto di vista civilistico. Penso che si dovrebbe avere un approccio propositivo, in cui il legislatore introduce innovazioni, se sono necessarie, su alcune particolari questioni (salute, casa, eredità), uscendo da pregiudizi ideologici e partendo sempre dal principio di difesa dei più deboli. Non a caso, infatti, è proprio la difesa dei bambini che porta oggi tante coppie a fare un percorso inverso: contrarre matrimonio, civile o religioso, per difendere i diritti dei loro figli. Vita: E a chi dice che la famiglia è un?istituzione in declino, cosa risponde? Campiglio: Se è un declino legato a ragioni economiche, allora vanno prese urgentemente delle misure, attraverso strutturali politiche di welfare. Se è in crisi a prescindere da questo, allora è diverso. Però, ai teorici di questa disfatta ?strutturale? della famiglia, vorrei muovere una semplice domanda: perché non possiamo darle una chance per sopravvivere?


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