Campagna, da campus, cioè distesa di terre coltivate. E in senso metaforico, le operazioni di battaglia che si conducono in campo aperto. Ecco, il campo aperto. La campagna elettorale che sta prendendo forma è quanto mai un campo aperto.
I manifesti, con le fotografie e gli slogan curati al millimetro, le pagine dei siti web e le comparsate televisive sono, come sempre, la faccia classica della campagna, quella che curano i responsabili della comunicazione, dell’immagine, i creativi e insomma tutti gli staff che seguono i candidati. Passo passo, parola per parola.
Poi ci sono social network. Il vero campo aperto. Dal famoso tweet di Trump senza senso, che sembrava un refuso e si è rivelato il più letto della sua storia, fino ai messaggi di questi giorni: toglieremo l’obbligo delle vaccinazioni, taglieremo qui, aumenteremo là, anzi no, forse sì, sei un incompetente e via così. Sembra il campo aperto più incontrollabile, dove ognuno, magari in un momento di nervosismo, digita due mezzi insulti o una promessa vana e poi click, invio. In un minuto si ritrova su tutte le home page dei quotidiani nazionali, la sera nei tg e il giorno dopo sulle prime pagine in edicola.
Chiacchiere da bar 3.0? Tutt’altro: quell’area, soprattutto quella, è presidiata da social media manager, expert, advisor, e via dicendo. Anche se a colpo d’occhio, sembra non sia così.
I social network sono l’unico campo aperto rimasto per la battaglia. Figuriamoci se non vengono schierati proprio lì i migliori strateghi militari.
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