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Camerun: Io, Monique Kwachou, profuga 2.0

Sono passati quasi tre mesi da quando il governo camerunense ha deliberatamente oscurato internet in due regioni anglofone del paese, con l’obiettivo di soffocare i movimenti di protesta che chiedono un ritorno al federalismo, abbandonato nel 1972 a favore di un Camerun che secondo la Costituzione è "uno e indivisibile". Ma come si vive 90 giorni senza acceso alla rete? Ce lo racconta Monique Kwachou, attivista e impiegata presso l’Università di Buea. Una vita da profuga 2.0

di Joshua Massarenti

Che significato ha nella Silicon Valley del Camerun una vita senza internet?

E’ una vita piena di ostacoli, di ansia e di apprensione. Ma per cogliere appieno la portata del divieto di accesso alla rete, è necessario capire il contesto in cui questa decisione è stata presa. Prima del 17 gennaio, due sindacati erano in sciopero, così come gli avvocati che hanno lanciato il movimento di contestazione a cui hanno successivamente aderito gli insegnanti. Entrambe le categorie professionali sono state vittime della repressione dello Stato. Questo clima di tensione sociale ha finito per colpire studenti, genitori costretti a trovare soluzioni di fronte all’impossibilità di far accedere i propri figli nelle scuole ormai chiuse, piccoli commercianti che per sopravvivere vendono i loro prodotti nei pressi dei campus universitari e delle scuole, e ovviamente gli insegnanti. Ma quando la macchina repressiva si è messa in moto, penso agli studenti negli ostelli di Bamenda e Molyko, i loro compagni sono fuggiti mettendo in crisi i commercianti locali, già colpiti dalle giornate di protesta “città morti” durante le quali tutti i negozi erano chiusi. Ma nonostante le tensioni, l’accesso ad internet ci consentiva di rimanere informati su quanto stava accadendo e di placare la paura.

Con l'oscuramento di Internet, il governo camerunense non ha fatto altro che accrescere l’ansia, questa volta colpendo proprio tutti. Senza rete, è diventato molto più difficile comunicare tra chi vive all’interno delle due regioni colpite dall’interdizione, tra noi e il resto del Camerun, ma anche tra i membri della diaspora camerunense e i loro familiari rimasti qui. L’altro giorno stavo scherzando con alcuni amici che vivono all’estero e che dopo aver privilegiato negli ultimi anni l’uso di Whatsapp, Skype, Viber o Imo, oggi hanno riscoperto le carte pre-pagate. E mentre una parte della comunità studendesca – penso a quella che frequenta le scuole francofone, agli studenti coinvolti in programmi di insegnamento a distanza – era stata risparmiata dagli sciopieri, oggi nessuno è al riparo dalle conseguenze causate dall'oscuramento di internet. Fare ricerche on line o molto più semplicemente inviare un’email è diventato impossibile.

Con l'oscuramento di internet, il governo camerunense non ha fatto altro che accrescere l’ansia, questa volta colpendo proprio tutti. Fare ricerche on line o molto più semplicemente inviare un’email è diventato impossibile.

Altre conseguenze?

Impedire ad un cittadino l’accesso alla rete non è soltanto privarlo della possibilità di comunicare con un parente o un amico, che di per sè è già una cosa grave. Nelle nostre regioni, la maggioranza degli annunci pubblicitari, delle proposte di lavoro e delle segnalazioni di eventi sociali viene fatta online, con questo divieto si nega l’accesso ad informazioni importanti per la vita quotidiana delle persone. Negli ultimi anni, il web ha fornito servizi creati da giovani camerunensi anglofoni che il nostro governo non è in grado di garantire, come Njorku, un motore di ricerca dedicato alle offerte di lavoro, oppure Ndolo 360, un app lanciata lo scorso anno per consentire ai giovani camerunensi di superare i tabù sessuali. Entrambi i prodotti avevano riscosso un grande successo sia a livelli nazionale che internazionale.

Nonostante tutto, la gente sta dimostrando una forte capacità di resilienza e di adattamento. Ogni volta che devo recarmi nella zona connessa del Camerun, carico sul mio cellulare una lista di cose da fare per non dimenticare nulla. Non dipendiamo dalle apps per accedere all’attualità, la comunicazione, l’agenda o i giochi. Nel contempo, questo ha contribuito a renderci più ansiosi, ed è diventato molto più complicato verificare se una news sia falsa o meno. La nostra generazione è cresciuta con il moto seguente: “scatta una foto, altrimenti non è mai accaduto”. Bene, senza internet, non c’è modo di mostrare immagini su quello che accade sul terreno e le persone finiscono per credere le voci che si spargono in giro, soprattutto se le fake news fanno rima con una presunta verità in cui vogliono credere.

Senza internet, non c’è modo di mostrare immagini su quello che accade sul terreno e le persone finiscono per credere alle voci che si spargono in giro, soprattutto se le fake news fanno rima con una presunta verità in cui vogliono credere.

A livello personale, come se la sta cavando?

Piuttosto male. Il divieto sta avendo un impatto negativo sui mei studi e sul mio lavoro. Faccio molta difficoltà a portare avanti le mie ricerche che mi consentirebbero di scrivere e condivedere articoli accademici. Per aggiornare il mio blog o mandare i miei lavori via email, devo recarmi a Douala, e non potendo accedere ad internet, ho perso alcune opportunità, cioè soldi. Come insegnante che lavora part-time, mi chiedo qual’è la logica che ha sotteso la decisione del governo camerunense. I funzionari hanno detto che le connessioni verranno ripristinate non appena le scuole torneranno ad essere operative. Ma in che modo le università possono riprendere regolarmente le loro attività se i docenti non hanno accesso ad internet, un mezzo indispensabile per fare ricerche e condividerle con gli studenti? In qualità di assistente universitaria, ho lavorato su un corso che richiedeva agli studenti di inviarmi un’email per elaborare una graduatoria. Senza accesso, non posso fare nulla. La ripresa delle scuole e il ripristino di internet sono due cose legate fra loro. L’università di Buea è nota per essere pioniera nell’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione: tutti gli studenti si iscrivono online.

Il vero guaio è che nella volontà di soffocare il movimento di resistenza impedendo l’accesso gratuito alle comunicazioni, il governo non ha misurato i danni che questa strategia avrebbe provocato. Per un pugno di persone, ne ha punite cinque milioni, con il risultato di radicalizzare il movimento.

Per aggiornare il mio blog o mandare i miei lavori via email, devo recarmi a Douala, e non potendo accedere ad internet, ho perso alcune opportunità, cioè soldi.

Che sentimenti nutre nei confronti del governo?

Prima del 17 gennaio, non lo elogiavo, ma mai mi sarei immaginato di definirlo un giorno una tirannia. Sono stata coinvolta in certi dibattiti che fustigano il modo con cui l’Africa viene dipinta all’estero, anche perché certi leader africani se la cavano spesso anche grazie alla complicità delle agenzie internazionali e dei paesi occidentali. Questa riflessione sta incidendo sulla mia volontà di lavorare e vivere qui. Finora ho deciso di sì, ma c’è una domanda che si fa sempre più insistente: “ne vale davvero la pena?” Il solo fatto che me la ponga è di per sè inquietante. Finora, ho sempre desiderato fare il mio PhD a distanza, cercando di costruire la mia carriera studiando in Camerun. Ho anche ricevuto un’offerta da parte dell’Università di Lancaster per un dottorato in giustizia sociale e educazione, stavo cercando una borsa di studio per coprire le spese del programma, ma ora che internet non c’è più temo di non potercela fare. Se oggi è difficile, cosa mi garantisce che nel 2018, un anno elettorale, non ci sarà un nuovo divieto? E anche se vinco una borsa di studio, che impatto avrà sui miei studi? Con la sua decisione, il governo ci ha convinti che al peggio non c’è proprio fine.

Dopo tre mesi di divieto, qual’è stato l’impatto sul piano economico per le regioni sconnesse? Quali i settori più colpiti?

Non sono un economista, quindi mi è difficile rispondere a questa domanda. Detto questo, so con certezza che alcuni business non riusciranno a sopravvivere. Ed è triste vedere che le imprese più colpite sono quelle che dipendono maggiormente dalla rete, e cioè le start-up messe in piedi dalla gioventù camerunense. Dalla “Silicon Mountain” di Buea, un hub di start-up tecnologiche, alla fashion week di Bamenda, passando per l’industria cinematografica e dell’entertainement, tutte le nuove iniziative imprenditoriali di questi ultimi anni sono state lanciate da ragazzi e ragazze tra i 19 e 30 anni. Sono imprese che hanno creato posti di lavoro, senza nessuna sovvenzione statale. Queste industrie sono riuscite a mettere il Camerun sulla mappa mondiale dell’innovazione, ma sono loro che il governo sta continuando a colpire con questa sua strategia.

Tutte le nuove iniziative imprenditoriali di questi ultimi anni sono state lanciate da ragazzi e ragazze tra i 19 e 30 anni. Ha ancora senso vivere e lavorare qui? Il solo fatto che mi ponga questa domanda è inquietante.

Le autorità nazionali hanno giustificato la sospensione dell’accesso a internet con la necessità di garantire l’ordine pubblico e combattere le fake news. E’ una decisione comprensibile?

Comprensibile? Non direi. A renderla tale secondo chi l’appoggia è la logica che la sottende, ma in realtà è una logica che crea molti danni. Ci sono state fake news durante gli sciopieri? Certo! E gli avvocati che sono stati all’origine della “battaglia” non hanno certo fatto un favore alla causa per la quale hanno combattuto diffondendo informarzioni senza verificarle, alimentanbdo accuse infondate, storie inventate con lo scopo di distruggere la reputazione di coloro che non la pensavano come loro, e molteplicando minacce inquietanti. Sì, questo è accaduto ed è necessario porci un termine. Nonostante tutto, pensare che vietando l'accesso alla rete – in regioni dove le persone si sentono marginalizzate – i problemi si sarebbero risolti, non ha senso.

Innazitutto perché il modo migliore per combattere le fake news è l’accesso ad un’informazione fattuale e obiettiva. La gente potrebbe facilmente scoprire che una news è fake se soltanto avesse la possibilità di verificarla accendendo a fonti serie, compreso quelle giornalistiche. Come se non bastasse, i media governativi hanno fallito alla loro missione di servizio pubblico.

In che modo?

Tanti. Non sono stati obiettivi; non hanno detto cosa stava realmente accadendo sul terreno, mentendo per omissione; hanno diffuso notizie nelle due lingue nazionali in modo diverso. Purtroppo, i media privati non sono stati in grado di controbilanciare la disinformazione perché minacciati; nel Bamenda alcune stazioni radiofoniche sono attualmente chiuse. Il governo non può lamentarsi della diffusione di fake news per colpa dell’uso e dell’abuso dei social media, e utilizzare questa scusa per legittimare la messa al bando di internet. Infatti, sto scrivendo un articolo che denuncia il modo con cui governi come quello camerunense creano un contesto che alimenta la proliferazione di fake news mentre i media nazionali diventano dinostesi.

Ci sono state fake news durante gli sciopieri? Certo! Ma pensare che vietando l'accesso alla rete – in regioni dove le persone si sentono marginalizzate – i problemi si sarebbero risolti, non ha senso.

Che aria si respira oggi a Buea?

La gente è stanca. Sia della battaglia che viene portata avanti che dai metodi reppressivi del nostro governo. Gli studenti stanno andando all’università con la speranza che i negoziati possano sfociare su una ripresa delle attività. Sono stufi di stare a casa, nel contempo sperano che i tre mesi di sacrificio si concludano con risultati concreti a loro favore. Ecco perché continuano a ripetere: “stiamo combattendo e sorridendo”.

In che modo la paura e la violenza vengono percepite in luoghi dove la rete è inaccessibile?

Come ho detto, paura e anzia non fanno altro che aumentare. Anche perché avendo soltanto accesso agli SMS e alle telefonate, è diventato molto più lungo smentire le notizie infondate. Ogni anno viene organizzara una corsa nella nostra regione – la Mount Cameroon Race of Hope -, pochi giorni prima viene accesso un fuoco sulla cima di un monte. Nel febbraio scorso, alcune persone pensavano che ad andare in fiamme fosse stata l’università di Buea. Siccome i ‘ribelli’ avevano messo alle fiamme alcune scuole in segno di protesta, la voce della distruzione dell’università ha iniziato a spargersi, soprattutto nelle regioni del paese che hanno accesso a internet e dove la circolazione delle notizie è molto più veloce. C’è anche il caso di un giovane giornalista che aveva svolto attività di volontariato nella mia organizzazione. Avevo sentito dire che era stato arrestato e condotto in un carcere militare a Yaoundé, la capitale. L’ho incontrato poche settimane fa, e la storia del suo arresto è risultata una fake news. Come vede, senza accesso alla rete la gente brancola nel buio, e nel buio sei molto più impaurito.

Cosa si aspetta dalle autorità camerunensi e dalla Comunità internazionale?

A dire il vero – come molti dei miei amici e colleghi – sono diventata apatica. La mia generazione ha imparato ad aspettarsi poco o nulla dal nostro governo, e tanto meno dalla Comunità internazionale. Alziamo la voce senza contare sugli altri. Facciamo hashtag, chiediamo che i nostri diritti vengano rispettati, e così via, perché se questa voce non la alziamo – come scrisse Zora Hurston “vi uccideranno e diranno: ti è piaciuto”. Noi non aspettiamo con il fiato sospeso. Spero solo che qualcuno nel mio governo torni ad avere una coscienza e faccia qualcosa affinché internet venga ristabilito.

La mia generazione ha imparato ad aspettarsi poco o nulla dal nostro governo, e tanto meno dalla Comunità internazionale. Alziamo la voce senza contare sugli altri.

Per quanto riguarda la Comunità internazionale, abbiamo contato troppo volte sul suo supporto, ma ci sono stati troppi fallimenti. Contrariamente a quanto si può pensare, la mia generazione legge le notizie. Stiamo assistendo ad un massacro in Siria, alla tragedia dei migranti e alla più grave crisi alimentare del pianeta nel Corno d'Africa. Purtroppo, se chiedete ai camerunensi della diaspora che hanno sfilato davanti alle ambasciate di tutto il mondo, vi diranno che temono un intervento delle Nazioni Unite o di qualsiasi potenza straniera per ‘risolvere’ la nostra situazione.

Perché?

Non vogliamo fare la fine della Libia, o del Sud Sudan.

Quindi senza che il governo e la Comunità internazionale, che cosa rimane?

I cittadini. Mi aspetto che presto saremo in grado di alzarci, tutti insieme, non solo gli anglofoni. E mi aspetto che proveremo tutti la stessa stanchezza, per poi cambiare una situazione che non possiamo più accettare.


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