Mondo

Cambiate testa entrate in Cina

La Statale di Milano ha dovuto mettere il numero hiuso e i bocconiani snobbano Hawvard per Shanghai. Per tutti un consiglio: «Manager o cooperanti, preparatevi a entrare in una testa diversa»

di Carlotta Jesi

C?è chi la scopre con un corso di Kung Fu. Chi s?invaghisce leggendo un fumetto manga. Chi ha imparato ad amarla per gli involtini primavera e chi per l?I-pod tarocco che costa il 50% meno dell?originale. Le strade che avvicinano i ragazzi italiani alla Cina sono infinite, ma portano tutte nello stesso luogo: un?aula di università. Super affollata. Accade a Sesto San Giovanni, sede del corso di laurea in Mediazione linguistica e culturale in ambito economico, giuridico e sociale organizzato della Statale di Milano che, quest?anno, ha dovuto mettere il numero chiuso per le matricole: 500 nuovi iscritti, di cui 200 decisi a studiare il cinese, il 40% contro il 5% del 2001. Ma è boom anche all?Orientale di Napoli e a Ca? Foscari: 1.200 dei 2mila studenti che frequentano il dipartimento di studi sull?Asia orientale a Venezia, si occupano di Cina, e le matricole di Lingua cinese quest?anno sono ben 380. Le aspettano cinque anni da spaccarsi la testa, su una delle lingue più difficili del mondo e su una cultura sconfinata. Le motivazioni dietro a questa scelta? Alessandra Lavagnino, docente di Lingua e letteratura cinese alla Statale di Milano, non ha dubbi: «Per prima cosa, la voglia di trasferirsi nel Paese che oggi è considerato il centro del mondo. È una voglia che si trasmette come un tam tam tra i ragazzi per cui la Cina è di tendenza, per esempio al cinema, ma anche di casa: per il ristorante cantonese del sabato sera, per il compagno di banco originario di Pechino, per la merce a buon mercato». Le prospettive di carriera per un laureato che conosca la lingua e la cultura di Confucio? «Nel settore del business ma anche nella cooperazione internazionale: alcuni dei nostri ex studenti oggi lavorano presso ong e associazioni impegnate in Cina», spiega la Lavagnino. Per riuscirci, è d?obbligo un?esperienza di studio e lavoro in loco. Dove gli investimenti sull?istruzione dell?ultimo decennio hanno fatto impennare il numero di liceali che si iscrivono all?università: negli anni 80 erano il 2%, oggi il 17. Ma è a livello post laurea che le cifre si fanno davvero impressionanti: gli studenti dottorandi sono passati dai 14.500 del 1998 ai 48.700 del 2003 e tra il 1999 e il 2003 sono stati assegnati 12 volte tanti dottorati che tra il 1982 e il 1989. Dottorati che, a partire dal 2006, verranno assegnati anche all?università italo-cinese di Shanghai nata da un accordo, siglato a luglio, fra i politecnici di Milano e Torino, le università Luiss e Bocconi e gli atenei cinesi di Tongji, Fudan e Shanghai. A breve, l?università italo-cinese dovrebbero inaugurare corsi di laurea, in ingegneria ed economia, aperti a 800 studenti. Pochi, a giudicare dal boom di richieste che, dal 2001 a oggi, riceve l?Iniziativa Cina lanciata dall?Ispi – Istituto per gli studi e la politica internazionale: due mesi di full immersion sull?arte di fare business in Cina, seguiti da uno stage di sei mesi presso aziende italiane che delocalizzano, riservato solo ai 10 migliori del corso. «Dieci su trenta», precisa la professoressa Maria Weber, coordinatrice scientifica del corso, «ma le richieste di partecipazione sono 400 per ciascuna delle due edizioni che organizziamo ogni anno: la prima, dedicata ai laureati in economia e scienze giuridiche; la seconda, a quelli in ingegneria e architettura». Scambi in corso anche all?università Bocconi. Mentre leggete, 11 partecipanti all?Executive Mba in International Study Program stanno studiando alla Fudan University di Shanghai e alla Chinese University di Hong Kong. Ma le opportunità non mancano anche per gli studenti del del triennio e de biennio che possono scegliere tra scambi con cinque atenei cinesi, un corso intensivo di quattro settimane denominato Campus Abroad e stage presso soggetti istituzionali e privati che operano nel Paese. Agli studenti che aspirano a una carriera da manager nel gigante asiatico e a quelli che invece vogliono andarci per costruire ponti tra due civiltà lontanissime, la professoressa Magda Abbiati, direttrice del dipartimento di Asia orientale di Ca? Foscari, offre lo stesso consiglio: «Apritevi a un modo di ragionare completamente diverso dal nostro. Se pretendete di volare laggiù per stringere un accordo commerciale in tempi stretti, secondo la cultura america che oggi regola il business, sbagliate in partenza: a Pechino più tempo investi in una trattativa, più importante la consideri. Il contratto ve lo faranno chiudere cinque minuti prima che parta l?aereo, è una questione di testa e cultura diversa».


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