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Cambiare la legge 155/06 per lo sviluppo e per l’occupazione

Alla Camera dei Deputati proposte modifiche alla Legge dell’Impresa sociale. L’intervento del Commissario europeo Michel Barnier che incoraggia al cambiamento

di Redazione

Basterebbe, a motivare l’urgente necessità di procedere al riconoscimento di una nuova soggettività imprenditoriale capace di umanizzare l’economia di mercato e, insieme, di dare uno statuto riconoscibile alla vocazione anche produttiva del non profit, quanto aveva scritto Benedetto XVI nella Caritas in Vertitate evocata all’inizio del seminario alla Camera dei deputati dall’attore Giulio Scarpati. Al paragrafo 46 il Papa scriveva: «Sembra che la distinzione finora invalsa tra imprese finalizzate al profitto (profit) e organizzazioni non finalizzate al profitto (non profit) non sia più in grado di dar conto completo della realtà, né di orientare efficacemente il futuro. In questi ultimi decenni è andata emergendo un’ampia area intermedia tra le due tipologie di imprese. (…) È auspicabile che queste nuove forme di impresa trovino in tutti i Paesi anche adeguata configurazione giuridica e fiscale. Esse (…) fanno evolvere il sistema verso una più chiara e compiuta assunzione dei doveri da parte dei soggetti economici. Non solo. È la stessa pluralità delle forme istituzionali di impresa a generare un mercato più civile e al tempo stesso più competitivo».

Sono passati oltre quattro anni e di quell’invito bisognerebbe riconsiderare almeno quello a “guardare la realtà”. Una realtà che ci dice che la legge sull’impresa sociale (D.lgs. n. 155/2006) richiede al più presto almeno una manutenzione, se non addirittura un suo superamento. Infatti, se la normativa, da una parte ha cercato di innovare, dall’altra, non riconoscendo una vera nuova figura giuridica, ma limitandosi a distribuire una qualifica assai poco appetibile, in sette anni ha prodotto meno di 700 soggetti, catalizzando così solo in piccolissima parte quella ben più vasta propensione all’imprenditorialità sociale evidenziata dal recente Censimento Istat e dalla crescita della cooperazione sociale oltre che dai numeri importanti delle start up innovative sociali. Certamente a causa dei limiti del testo di legge – in particolare il divieto di distribuire gli utili, anche in forma indiretta, e lo schiacciamento dei settori di attività su quelli previsti per le Onlus. Insomma una legge che invece di superare la dicotomia profit e non profit, l’ha, se possibile, allargata. Ora, anche su spinta dell’Europa che persegue il social business come motore di occupazione e di contrasto alla crisi, occorre che si riconosca nuova soggettività imprenditoriale che possa essere protagonista di una economia sociale di mercato. La situazione di emergenza del Paese richiede di superare i vecchi paradigmi e di attivare nuovi modelli di collaborazione tra pubblico e privato, tra profit e non profit. Si tratta di riconoscere e favorire  – anche a livello istituzionale – la crescita di un nuovo modello imprenditoriale.

Come ha sottolineato Miche Barneir, Commissario europeo per il Mercato interno e i servizi e promotore della Social business initiative: “C’è bisogno che i governi facciano di più con meno. Le imprese sociali stanno crescendo, offrendo servizi importantissimi e creando posti di lavoro. Ci sono meno soldi pubblici ma queste imprese creano ancor più valore per la società. Il termine impresa sociale si riferisce ad uno spettro molto ampio di attività, da chi fornisce servizi online, a chi si occupa del supporto agli anziani e della cura dei bambini, fino al riuso. La lista è infinita. Le imprese sociali spesso impiegano i soggetti più fragili nella società, aiutando così a creare coesione sociale, occupazione e riducendo le disuguaglianze. Ciò che queste imprese vogliono fare è  servire la comunità e, più in generale, il mondo, su più livelli. Il fatto che vi stiate incontrando in Parlamento, significa che la consapevolezza di questo settore sta crescendo. In questi mesi ho preso parte in una serie di dibattiti online, con cittadini europei e mi hanno fatto pensare alle opportunità di crescita delle imprese sociali, se solo sapranno sfruttare il proprio potenziale. Per troppo tempo queste imprese in molti paesi, sono state in una terra di nessuno dal punto di vista legislativo e per questo abbiamo avuto difficoltà nello sviluppo di misure di finanziamento adeguato. Un’area grigia, una terra di mezzo, tra i servizi pubblici e le attività commerciali, ecco dove bisogna cambiare e intervenire”.
Nel corso seminario anche il contributo dell’onorevole Luigi Bobba che ha presentato i punti di un’iniziativa politica che cercherà in tempi brevi di  apportare le modifiche presentate.

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