La notizia ha fatto in breve il giro dei mass media: il Cie di Isola di Capo Rizzuto è stato chiuso in seguito alla rivolta degli immigrati che vi si trovavano, rivolta scoppiata dopo la morte di uno di loro. Fin qui i fatti. Ma aggiungeteci il colore, che in questi casi non manca mai: l'immigrato (il marocchino Moustapha Anaki, 31 anni, per la cronaca) sarebbe deceduto "per un malore", "in circostanze non chiare"; i migranti "protestavano per le condizioni di detenzione", alcuni responsabili della struttura "erano in ferie" e subito nella mente del lettore si insinua il dubbio: c'è qualcosa di poco chiaro.
Aggiungeteci poi la confusione tra immigrati ospiti del Cie (Centro di identificazione ed espulsione) e del vicino Cara-Cda (Centro di accoglienza per richiedenti asilo), metteteli tutti nello stesso calderone (i migranti sbarcati dalle carrette del mare nella notte), sottolineate che i Centri sono gestiti dai volontari delle Misericordie (volontari, quindi mezzi incompetenti, per l'immaginario di tanti) e la frittata della disinformazione è fatta.
Le cose in quel di Capo Rizzuto non sono andate proprio così, e a spiegarlo è il vicepresidente nazionale delle Misericordie nonché responsabile delle Misericordie di Isola, Leonardo Sacco, che nel Cie e nel Cara lavora ogni giorno. Parole che precedono di poche ore la visita presso il centro del ministro per l'Integrazione Cécile Kyenge, che ha ribadito come «la condizione dei centri di accoglienza è un problema anche europeo. L'Europa non può lasciare sola l'Italia».
Vita: Allora presidente Sacco, che cosa è successo veramente al Cie?
Sacco: E' successo che nel Centro di identificazione ed espulsione, che ospitava in tutto una cinquantina di immigrati, uno di loro si è sentito male. L'abbiamo subito soccorso e portato in ospedale, dove purtroppo è deceduto per problemi cardiaci, come ha accertato l'autopsia. Ora, c'è da dire che al Cie ogni motivo è buono per scatenare le proteste degli ospiti, che sono trattenuti lì contro la loro volontà e senza poter uscire, perché raggiunti da provvedimenti di espulsione dettati dall'autorità giudiziaria italiana. In pratica, sono tutti ex detenuti condannati da un giudice per reati di diverso tipo; l'immigrato morto, per esempio, era stato condannato per violenza sessuale.
Vita: Quindi al Cie non si trovano i migranti che sbarcano sulle nostre coste quasi quotidianamente?
Sacco: Assolutamente no. I migranti che arrivano in Italia in quel modo vengono accolti al Cara, che qui a Capo Rizzuto si trova in un edificio adiacente al Cie, e possono entrare e uscire liberamente, in attesa che la loro domanda di asilo venga esaminata. Ricevono anche un sussidio economico e gli altri benefici previsti dalla normativa. Nel nostro Cara, che giustamente viene additato come un centro modello, si trovano attualmente 1700 persone di 50 nazionalità diverse e non si sono mai verificate violenze.
Vita: Al Cie invece com'era la situazione?
Sacco: Sicuramente più difficile, ma non certo per colpa di chi gestisce il Centro ogni giorno con impegno e buona volontà. Quello che nessuno sottolinea è che il Cie è come un carcere, dove le persone sono trattenute in un regime di detenzione di fatto, ed è ovvio che un uomo privato della libertà diventa capace di tutto.
Vita: I Cie andrebbero chiusi, secondo lei?
Sacco: Non dico questo, anche perché non si risolverebbe di colpo il problema di dove trattenere gli immigrati espulsi perché hanno commesso reati. Il punto da rivedere secondo me sarebbe un altro, e cioè il termine massimo di permanenza all'interno dei Centri, che è stato portato da 6 a 18 mesi in seguito al decreto di recepimento della Direttiva Rimpatri dell'Unione europea. Come è ovvio, un conto è rimanere chiusi in un posto sei mesi, un altro conto restarci un anno e mezzo.
Vita: Qual è il vostro stato d'animo in questo momento?
Sacco: Siamo sereni e continueremo il nostro lavoro. Le Misericordie contano ben 350 operatori nei centri per migranti di Crotone, abbiamo sempre svolto il nostro lavoro con dedizione e mettendo al primo posto gli ospiti. Nel Cara si svolgono anche attività ricreative e artistiche, le persone di diverse religioni pregano fianco a fianco, cerchiamo di costruire un clima positivo. Siamo molto lieti che la ministra Kyenge sia in visita nella nostra regione, e la aspettiamo per mostrarle quello che facciamo insieme ai migranti.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.