Salute
Cambiamo rotta sul tumore ovarico, ecco come
Presentato al Ministero della Salute il primo Libro bianco illustrato sul carcinoma ovarico intitolato Cambiamo Rotta e promosso da Acto Italia: nove storie di donne che raccontano il proprio viaggio lungo il percorso di diagnosi e cura, e oltre 20 contributi clinico-scientifici e istituzionali. Firmato anche un manifesto con le sette priorità in agenda
Il tumore ovarico è un tumore molto complesso ed eterogeneo, oggi sicuramente più conosciuto di un tempo e dalle maggiori prospettive terapeutiche, ma per il quale permangono molte disomogeneità territoriali bisogni irrisolti non secondari, ma decisivi per la prognosi. È quanto emerge da un’indagine condotta dall’associazione Alleanza contro il tumore ovarico Acto con Elma research su oltre cento pazienti sul territorio nazionale e contenuti in Cambiamo rotta, il primo libro bianco illustrato di voci, bisogni e proposte delle donne con tumore ovarico sponsorizzato da Gsk e Roche, con Nancy Brilli come madrina d’eccezione.
Il libro è stato presentato al Ministero della Salute insieme al Manifesto Acto 2.0, una sintesi di sette azioni prioritarie, individuate dall’analisi dei bisogni delle pazienti e dalle indicazioni dei maggiori clinici ed esperti. Verso il quale le istituzioni presenti hanno assunto un impegno. «Le associazioni sono considerate come interlocutori alla pari, competenti, che utilizzano un linguaggio comune che è quello della presa in carico della paziente» sono state le parole di soddisfazione della presidentessa di Acto Italia Nicoletta Cerana.
Il libro bianco
Si parte dal vissuto di nove donne, Annamaria, Emanuela, Paola e sua mamma, Antonia, Cristina, Sveva, Petra, Ilenia, Fulvia. Ogni esperienza ha al centro un tema specifico, come la diagnosi precoce, l’importanza dei test genetici e genomici, l’impatto del tumore sulla fertilità e la sessualità, la medicina di precisione, la qualità della vita. Ogni storia è seguita dall’intervento di un esperto che racconta lo stato dell’arte e come sarebbero dovute andare le cose in un mondo ideale. Superare gli ostacoli che rallentano la sua realizzazione è l’obiettivo dell’azione di Acto Italia, la cui presidentessa riassume le priorità in agenda: «Aumentare l’informazione sulla malattia e sui centri specializzati per promuovere scelte di cura più consapevoli; sostenere la ricerca per la diagnosi precoce che ancora oggi resta una chimera; aprire ai test genomici per rendere possibili le cure personalizzate; cominciare a parlare di sessualità e oncologia, un ambito di bisogni del tutto dimenticato che sta emergendo sempre più forte da parte delle pazienti. Si vive di più anche con il tumore ovarico, di conseguenza è diventato necessario prendersi cura della persona, oltre che curare la malattia».
Informare sulla malattia e sui centri specializzati; sostenere la ricerca per la diagnosi precoce; aprire ai test genomici per rendere possibili le cure personalizzate; cominciare a parlare di sessualità e oncologia
Nicoletta Cerana, presidentessa Acto Italia
Il tumore ovarico
Il tumore ovarico colpisce 5200 donne l’anno, è l’ottava neoplasia più frequente nelle donne, una delle più gravi a causa della sua elevata mortalità. Nell’80% dei casi viene diagnosticato in fase avanzata, soprattutto per la mancanza di strumenti di screening, per il suo essere asintomatico o essere caratterizzato da sintomi aspecifici, che sono gonfiore persistente dell’addome, fitte addominali, bisogno frequente di urinare, inappetenza o sensazione di sazietà anche a stomaco vuoto, perdite di sangue vaginali (in assenza di ciclo mestruale), stitichezza o diarrea. Nella ricerca Acto, i tre sintomi più frequenti sono stati: gonfiore addominale (58%), disturbi nel basso ventre (39%) e perdita di peso (34%). Il 94% delle donne non ha sospettato che potessero essere riconducibili a un tumore ginecologico.
Dove andare?
Dall’indagine Acto, emerge che solo il 27% delle pazienti ha cercato un centro di riferimento per la ginecologia oncologica. Il 41% ha scelto su consiglio del medico, che evidentemente non ha saputo orientare bene la propria assistita, e il 40% in base alla vicinanza alla propria abitazione. Eppure, è un tumore complesso, fin dalla diagnosi, e che richiede una gestione multidisciplinare da parte di specialisti con competenze specifiche per la patologia. «A partire dalla chirurgia, trattamento d’elezione» ha spiegato Giovanni Scambia, direttore della ginecologia oncologica del Policlinico Gemelli di Roma. Ma anche per la terapia medica: «Le nuove classi di farmaci mirati e a bersaglio molecolare, come parp-inibitori, immunoterapie, anticorpi farmaco coniugati, richiedono una gestione e una presa in carico di un team multidisciplinare. Da qui l’esigenza di identificare i centri oncologici specializzati dove queste pazienti possono essere curate» ha detto Ketty Lorusso, associata di ostetricia e ginecologia presso Università Cattolica del Sacro Cuore e responsabile della programmazione ricerca clinica del Policlinico Gemelli.
I test genetici e genomici
C’è poi il tema cruciale dell’esecuzione dei test genetici e genomici. La ricerca di Acto Italia mostra che meno della metà delle pazienti (45%) accede alla profilazione genomica. Inoltre, ancora a un 12% di pazienti a cui non è stato proposto il test genetico per le mutazioni Brca, incluso nei livelli essenziali di assistenza, a differenza di un altro test, la ricerca del cosiddetto deficit della ricombinazione omologa (hdr), che non è ancora rimborsato. Si tratta però di un test diagnostico-prognostico fondamentale, il meccanismo che individua è un importante bersaglio terapeutico, che è stato all’origine di quello che viene definito il recente tsunami nel trattamento tumore ovarico. «Il deficit della ricombinazione omologa è presente nei tumori di tutte le pazienti con mutazioni Brca e di un altro 25% di pazienti senza mutazioni di questi geni: quindi nella metà dei casi totali» ha spiegato Nicoletta Colombo dell’Università Milano-Bicocca e direttrice del programma di ginecologia dell’Istituto europeo oncologia Ieo. «La mancata esecuzione del test al momento della diagnosi significa privare la paziente di un’importante opportunità di trattamento di prima linea».
La mancata esecuzione del test genomico al momento della diagnosi significa privare la paziente di un’importante opportunità di trattamento di prima linea
Nicoletta Colombo, direttrice programma ginecologia, Ieo e Università degli studi Milano-Bicocca
Disomogeneità territoriali
È chiaro quindi che «la questione di organizzazione sanitaria sul territorio è decisiva alla sopravvivenza di chi vi risiede, non meno delle competenze dei medici. Essere curate per il tumore ovarico al meglio delle nostre attuali conoscenze e con le tecnologie più all’avanguardia non può essere una questione di fortuna e dipendere da dove si vive» ha commentato Sandro Pignata, direttore dell’oncologia uro-ginecologia dell’Istituto nazionale tumori Pascale di Napoli, coordinatore scientifico della Rete oncologica campana e presidente del Multicenter Italian Trials in Ovarian cancer and gynecologic malignancies Mito.
La diagnosi precoce
La tempestività nella diagnosi viene definita un obiettivo «realistico» da Maurizio D’Incalci, presidente del Mario Negri Gynecologic Oncology MaNGO e presidente della società italiana di cancerologia, sulla base della «veloce evoluzione e diffusione di nuove tecnologie molecolari e bioinformatiche» che porterà, questa è la speranza, a «metodi sensibili e specifici per diagnosticare il tumore», riconoscendo la presenza delle cellule mutate prima che la massa tumorale si manifesti clinicamente. Su questo sono al lavoro molti centri italiani, nel tentativo di portare in clinica dei risultati ottenuti in laboratorio, analizzando retrospettivamente i dati genetici raccolti durante il pap-test di donne alle quali anni dopo è stato diagnosticato un tumore ovarico.
La sessualità non sia un tabù
Secondo l’indagine Acto, la sessualità sembra essere un tabù per 4 donne su 10, nonostante il peggioramento della vita sessuale, dove accanto alle motivazioni fisiche, preponderanti, troviamo anche quelle psicologiche. «È ancora un tema tabù, affrontato malvolentieri anche da alcune donne, che comunque spesso non trovano interlocutori preparati» ha spiegato Florance Didier psiconcologa dello Ieo, dove guida l’ambulatorio integrato psicologia-sessuologia-ginecologia. Alle donne spiega che «l’assenza di desiderio è normale e fisiologica, quando ci si sente meglio e a cure terminate è il momento in cui si torna a parlarne». A risentirne è anche il benessere della coppia. «Lavoriamo sulla comunicazione empatica e sulla vicinanza emotiva, per ricomporre la frattura che spesso si viene a creare. Il compagno, spesso assente ai colloqui, è generalmente disorientato, si sente inadeguato e assume un atteggiamento colpevolizzante verso la donna. È qualcosa che mina l’equilibrio della coppia, crea costantemente stress nell’area relazionale e quindi va affrontato senza paura, parlandone, perché le soluzioni ci sono».
Supporto psicologico: altro diritto disatteso
Non sono questioni secondarie, precisano gli esperti, perché riguardano la qualità della vita. «Dopo la diagnosi, la donna vive dei momenti di reale sofferenza» conclude Gabriella Pravettoni, direttrice della psiconcologia dell’Istituto europeo di oncologia Ieo. «Dobbiamo alle associazioni, che istituiscono borse e fanno pressioni sulle istituzioni, se la psiconcologia è entrata oggi nei team multidisciplinari. È importante riconoscere il bisogno di un supporto anche nel tumore ovarico, esattamente come è stato riconosciuto nelle breast unit». Eppure, nonostante gli studi confermino come questa figura sia decisiva anche alla prognosi, quello al psicooncologo è un diritto negato, garantito solo a un paziente oncologico su cinque.
Cambiamo rotta ha ricevuto il patrocinio di Associazione italiana oncologia medica Aiom, Mario Negri gynecologic oncology group MaNGO, Multicenter italian trials in ovarian cancer Mito, Salute: un bene da difendere un diritto da promuovere, Società italiana di cancerologia Sic e l’adesione delle Associazioni Loto e Mai più sole.
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