Sostenibilità

Cambiamento climatico, tutti i ritardi degli otto Grandi

Le pagelle del WWF alle politiche dei Paesi più industrializzati

di Rose Hackman

La maglia nera per le emissioni va al Canada.
Sul podio Germania, Regno Unito, Francia. L’Italia a sorpresa a metà classifica. Ma è merito della crisi
«Il cambiamento climatico è la principale minaccia per lo sviluppo e la prosperità del pianeta, un rischio per le persone e le culture oltre che per la natura». Inizia così il Climate scorecard report 2009, realizzato da Ecofys per il WWF, in collaborazione con Allianz: la classifica annuale con le performance ambientali dei Paesi industrializzati pubblicato in vista del G8 dell’Aquila. Filo conduttore dello studio di quest’anno è un invito immediato all’azione: «È arrivato il momento di decidere».
Ma cosa ha portato due soggetti tanto diversi come Allianz e WWF a stilare questa classifica giunta alla terza edizione? Il messaggio della partnership è chiarissimo – la finanza ha un ruolo fondamentale da giocare per prevenire e batter cambiamenti climatici molto pericolosi – e altrettanto lo è la strategia che usa per spingere i Paesi del G8 a prendere una posizione chiara e netta sul tema: la classifica, e le schede con un punteggio per ciascun Paese, non solo misurano le performance ambientali ma le proiettano in una prospettiva globale che impone alle aziende di rendere conto del loro operato. Operato che, ad oggi, non è giudicato sufficiente dall’associazione ambientalista: nonostante, infatti, tutti i Paesi del G8 siano corsi ai ripari sul cambiamento climatico, i loro sforzi non bastano a proteggere il mondo dal rischio che la temperatura globale si innalzi alla ben nota soglia dei +2°C. E anche se riuscissimo a bloccare il surriscaldamento globale, la sfida per gli otto Grandi della Terra non sarebbe finita: secondo il WWF, i Paesi industrializzati devono diminuire le loro emissioni del 95% entro il 2050. Ad oggi, però, la tendenza è di andare nella direzione opposta.
Orizzonte nero, dunque? No, il report indica a ciascun Paese la strada da percorrere, sottolineando i passi positivi compiuti dal 1990 ad oggi. Di più. Lancia un messaggio preciso ai cittadini occidentali: «Questa è la situazione del Paese in cui vivi, queste le decisioni prese fino ad oggi, questi i passi da compiere per frenare i cambiamenti climatici: hai in mano tutti i dati che servono per fare pressione sul tuo governo».
E i dati riservano qualche sorpresa. Avreste detto, per esempio, che un Paese come il Canada, noto per la coscienza ambientale dei suoi cittadini, occupasse l’ultima posizione della classifica, maglia nera del cambiamento climatico tra i Paesi del G8? Per contro, il Regno Unito, storicamente Paese delle industrie, sale sul secondo gradino del podio, appena dietro alla Germania, ricevendo una medaglia per le misure innovative adottate dal governo e per il ruolo attivo nel dibattito internazionale sul tema. Il nostro Paese guadagna un soddisfacente quarto posto dietro a Germania, Regno Unito e Francia. Ma più per problemi economici che per meriti ambientali: l’Italia è l’unico Paese tra i G8 con un livello di emissioni pro capite che non è cresciuto dagli anni 90 e che, quindi, può facilmente raggiungere l’obiettivo di tagliare le emissioni del 95% entro il 2050. Una situazione che il rapporto WWF/Allianz più volte lega alla «struttura economica del Paese», sottolineando la mancanza di un approccio strategico sul tema dei cambiamenti climatici. E il piano verde di Obama? La sua amministrazione riceve un plauso per gli obiettivi ambiziosi che intende raggiungere sul fronte ambiente. Niente eroi, però, questo emerge chiaramente dal report. Il 2009 è un anno cruciale per l’ambiente e il G8 non è che un test in vista della conferenza Onu di Copenhagen prevista per dicembre. La strada per Copenhagen parte da L’Aquila, vediamo che direzione prende.

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