Sostenibilità
Cambia la testa per cambiare i consumi
Investire sulle fonti verdi. Scegliere percorsi alternativi in città. E dire di no alla pubblicità che ci vuole tutti in auto
di Redazione
Se oggi, aprile 2003, azzerassimo le emissioni di gas serra, il nostro pianeta continuerebbe ancora a subire un processo di riscaldamento globale per decenni, a causa della lentezza dei processi di riassorbimento dell?anidride carbonica all?interno dei cicli naturali. Nella migliore delle ipotesi riusciremmo ad attutire le conseguenze per l?attuale generazione, e i nostri nipoti potranno (forse) godere di un clima finalmente stabilizzato secondo i suoi meccanismi di variazione naturale.
È ormai chiaro (l?ha stabilito l?Ipcc-Intergovernamental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite) che la causa dei cambiamenti climatici sta nell?uso dei combustibili fossili, visto che gli altri fattori (accentuazione dell?attività del sole, emissione di gas serra dai vulcani) non sono sufficienti a giustificare l?entità dei fenomeni. Su queste basi, l?organismo indica come unica soluzione l?urgente riduzione delle emissioni del 70-80% rispetto ai valori del 1990, anche perché le possibilità di incrementare la capacità di assorbimento da parte dei due ?purificatori naturali?, cioè oceani e foreste, sono limitate dagli stessi cambiamenti climatici. Le foreste sono minacciate perfino nell?attuale consistenza in varie parti del mondo; l?innalzamento della temperatura dell?acqua riduce la capacità di assorbimento da parte degli oceani.
L?unica strada praticabile rimane dunque il rapido abbandono dei combustibili fossili (carbone, petrolio e gas) all?interno di una revisione del nostro modello di sviluppo, anticipando un cambiamento comunque reso necessario dal prossimo esaurimento del petrolio.
Ma è così facile? No. Sarebbe bello poter dire: sostituiamo i combustibili tradizionali con le energie eolica, solare, geotermica, idraulica, il legno e le altre biomasse. Sebbene queste fonti siano inesauribili e teoricamente più abbondanti di quelle fossili, sono distribuite e disponibili localmente solo a bassa potenza (come sole e vento), e richiedono l?impegno di vaste aree di territorio, che potrebbe divenire anch?esso una risorsa scarsa. Le dighe idroelettriche, poi, creano un elevato impatto sull?ambiente (sottrazione di aree agricole) e sull?uomo (trasferimento di città e villaggi). In ogni caso un utilizzo massiccio di queste fonti potrebbe incontrare limiti ambientali e sociali assai prima di averne dispiegato solo una piccola parte delle enormi potenzialità teoriche.
Per poter immaginare un futuro senza petrolio dobbiamo rompere il legame fra energia e sviluppo, fra energia e benessere. L?interrogativo diviene allora come produrre sviluppo e benessere per tutta l?umanità senza crescita dei consumi energetici. Il primo passo è ridefinire gli obiettivi dello sviluppo: il motore dell?economia non deve essere più la produzione di beni, ma la produzione di quei servizi che producono un reale benessere, sia fisico che psicologico, valutato in termini di soddisfazione delle aspirazioni sociali, culturali e morali di tutti gli individui; opporre all?opulenza di uno sviluppo fondato sulla crescita continua dei consumi, il principio della ?sufficienza?: utilizzare ciò che basta a soddisfare le aspirazioni di benessere degli individui.
Questo sviluppo fondato sulla ?sufficienza? deve uniformarsi anche al vincolo della massima ?efficienza? nell?utilizzo delle risorse necessarie al soddisfacimento dei bisogni identificati, per consentire una equa distribuzione del benessere all?intera umanità. La sufficienza ci dice cioè cosa fare per vivere tutti meglio, l?efficienza ci dice come farlo nel migliore dei modi per gravare il meno possibile sull?ambiente.
Per operare questa sorta di rivoluzione dello sviluppo verso obiettivi di stabilizzazione e poi riduzione dei consumi di risorse, occorre sia un cambiamento profondo delle politiche economiche dei governi, sia un altrettanto profondo cambiamento negli stili di vita della gente.
Spieghiamo meglio questi concetti con un esempio, molto prossimo alla nostra vita quotidiana. Ogni giorno, per svolgere le nostre attività, abbiamo bisogno di spostarci, a volte per chilometri, impiegando anche parecchie ore del nostro tempo. A nessuno piace spostarsi per ?necessità?; si tratta di tempo sottratto ad altre attività più utili e gratificanti. Ma quanti di questi spostamenti costituiscono una necessità inevitabile? Gran parte dei chilometri percorsi dipendono dalla organizzazione urbana, dalla distribuzione sul territorio di centri di servizi, aree residenziali, aree industriali, centri commerciali, strutture ricreative e culturali. Questo dipende da precise scelte politiche.
La scelta del mezzo di trasporto, che tanto incide sui consumi energetici e sul clima (il settore trasporti è responsabile del 28% delle emissioni gas serra) dipende dall?offerta di alternative, dalle politiche che in Italia hanno fatto la sciagurata scelta di favorire il trasporto automobilistico privato, offrendo agevolazioni di ogni sorta, infrastrutture stradali e servizi, scelta favorita anche da una pubblicità che ha fatto dell?automobile uno status symbol; ma dipende anche dalla scelta personale di adeguarsi passivamente al modello proposto. Ecco che responsabilità politiche e responsabilità individuali si sostengono a vicenda nell?imporre modelli sbagliati, creando falsi bisogni che non producono benessere ma peggiorano la qualità della vita.
Per affrontare il grave problema dei cambiamenti climatici è necessario, in definitiva, ridurre i consumi energetici ed aumentare il ricorso alle fonti rinnovabili in uno scenario di sviluppo sostenibile. L?alternativa è continuare a seguire la strada attuale, verso un futuro disseminato di conflitti per il controllo di risorse sempre più scarse, lasciando alle generazioni future un mondo irreversibilmente devastato o comunque segnato da grandi difficoltà e incertezze.
Andrea Masullo
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