Welfare

Calderini: «Tecnologia, managerialità e finanziarizzazione. O l’economia sociale farà un cambio di passo o non sarà»

La due giorni del Social Innovation Campus di Fondazione Triulza sono, per il presidente del Comitato scientifico della Social Innovation Academy, «l'esempio di come creare ecosistemi artificiali in cui le imprese sociali sperimentino condizioni di mercato ad alta intensità innovativa».

di Lorenzo Maria Alvaro

Promosso dalla Social Innovation Academy di Fondazione Triulza in MIND e dedicato al tema “Social Tech: la reazione per rinascere” la seconda edizione del Social Innovation Campus si svolgerà in streaming il 3 e 4 febbraio. Un'occasione per mettere in atto «una Blue Ocean strategy che sfidi le imprese sociali ad inserirsi in pezzi più alti della catena del valore che richiedono più capacità innovativa, uscendo dalle proprie comfort zone», spiega Mario Calderini, presidente del Comitato scientifico della Social Innovation Academy. L'intervista.


Qual è lo scopo della due giorni del Social Innovation Campus?
Creare un primo mercato che sfidi le imprese sociali e la cooperazione e che quindi inneschi un trasferimento di tecnologia molto mirato alle imprese sociali.

Quindi intercettare investimenti?
Sì. La verità è che oggi noi non sappiamo come fare a strutturare tecnologicamente e finanziariamente le imprese sociali. Credo che l'unica soluzione sia non copiare i modelli che abbiamo sempre usato per start up e tecnologia ma creare ambienti sfidanti per le imprese sociali ed esporle ad un mercato possibile intensivo di tecnologie. Le portiamo dentro MIND – Milano Innovation District non per tagliare l'erba o servire i pasti al all'Ospedale Galeazzi ma per partecipare alle sfide con cui MIND usa l'intelligenza artificiale per fare sorveglianza nell'ex area Expo. Sfidarli ad inserirsi in pezzi più alti della catena del valore che richiedono più capacità innovativa fa sì che si evidenzi immediatamente il bisogno di tecnologia e il gap di competenza che l'impresa ha per poter rispondere a quelle sfide. Così, identificando la mancanza in maniera precisa, puoi mettere in atto un trasferimento tecnologico di precisione. Andare cioè a colmare gap specifici aiutando l'impresa sociale ad essere protagonista di partite con più valore aggiunto e quindi ricchezza e a portare in mercati nuovi i propri valori.

Perché è interessante per le aziende che l'impresa sociale porti i propri valori nel mercato?
Noi sappiamo che quando ci si muove su una frontiera come quella dell'innovazione ci si porta dietro necessariamente tutta una serie di conseguenze inattese. Coinvolgere le imprese sociali è probabile che mitighi le conseguenza nefaste di alcune di queste conseguenza. Tornando alla sicurezza del sito MIND dell'esempio precedente se quel servizio viene erogato con l'uso dell'intelligenza artificiale e della cibernetica, magari con un riconoscimento facciale è chiaro che esistono pericoli legati all'eccesso di sorveglianza, privacy, eccesso di schedatura o di discriminazione. Se questo processo viene mediato da un'impresa sociale è probabile che certe criticità verranno gestite in un modo migliore. Ecco perché la vera sfida è creare ecosistemi, magari anche artificiali, in cui le imprese sociali sperimentino condizioni di mercato ad alta intensità innovativa.

Quindi uscire da un sistema da riserva indiana protetto e prendere il largo…
Esatto, una strategia Blue Ocean. Non c'è dubbio.

Durante la due giorni Unicredit, main sponsor del Campus, proporrà due workshop (Fare imprese per rigenerare i territori e UniCredit Start Lab: opportunità di supporto a progetti innovativi). Che ruolo deve avere, rispetto a questa sfida, il sistema bancario?
La pandemia ha dimostrato che il Terzo settore, se anche ha risposto con eroismo alle nuove sfide, è un ambito molto fragile. Una fragilità figlia dell'aver rimandato l'appuntamento con la tecnologizzazione, la managerializzazione delle competenze e la finanziarizzazione. Le banche sono il soggetto chiave per una finanziarizzazione un po' meno parrocchiale e managerialmente evoluta. Se funziona la prima parte del ragionamento che abbiamo fatto prima, e cioè che esistono delle tecnologie che possono aiutare questo settore a fare meglio il proprio mestiere e a raggiungere più beneficiari. Allora tecnologizzazione vuol dire che molte di queste realtà passeranno a un modello intensivo di lavoro a un modello un po' più intensivo di capitale. Avranno bisogno di finanza. Un bisogno che non può essere soddisfatto solo dall'impact investing, inteso come investimento nel capitale delle imprese. Credo che siamo in una fase in cui l'ingerenza degli impact investors sia un po' pesante per gli enti del Terzo settore. Cambiare addirittura ragione sociale e dar via delle quote sociali è troppo. La banca può essere un accompagnatore esterno più morbido e meno invasivo. Ma bisogna trovare strumenti che siano un po' diversi da quelli semplicemente scopiazzati da quelli pensati per le piccole imprese. Perché se guardiamo la cosa dal punto di vista delle garanzie molto poche imprese sociali sono finanziabili. Credo che per le banche d'altra parte sia cruciale che imparino a rapportarsi con i soggetti del Terzo settore perché ci sono settori del business tradizionale come l'assistenza e la cura, la logistica e distribuzione dell'ultimo miglio e il turismo di prossimità che non saranno più se non sociali e di comunità. Le banche hanno tutta la convenienza a cominciare ad instaurare rapporti forti con questi attori perché saranno protagonisti di queste traiettorie.

Social Innovation Campus nasce un anno fa, prima del Covid19. Questa seconda edizione avverrà in piena pandemia. Come ha impattato l'emergenza su questi temi?
La pandemia ha accentuato, come dicevo, delle fragilità anacronistiche e antistoriche dell'economia sociale. L'altro aspetto rilevante è che prima del Covid il mondo profit si stava candidando per portare avanti forme di economia sostenibile e ad impatto sociale. Una novità che ha spiazzato il non profit. Con l'emergenza è tornato pesantemente protagonista lo Stato e si è riaperto il dibattito sul dualismo Stato-mercato. La verità è che l'emergenza ha posto la cooperazione, i beni relazionali, il mutualismo e la reciprocità al centro. Oggi si capisce bene che il punto non è trovare un nuovo punto di equilibrio tra Stato e mercato nel definire un nuovo modello economico ma capire come il terzo settore può essere il contaminatore e mediatore tra pubblica amministrazione e mercato affinché questo rapporto sia un po' più adatto a delle sfide che richiedono una presenza comunitaria e un'incorporazione di valori sociali molto più grande.

Perché questa trasformazione è urgente?
C'è il rischio di perdere un treno e vedersi scavalcare. Già prima della pandemia si correva questo rischio perché cominciavano ad esserci grosse realtà che cominciavano ad usare lo stesso vocabolario. Non parlo solo delle cooperative. Penso anche alle mutue assicurazione o alle banche di credito cooperativo. Ad un certo punto tutte le banche del mondo si sono convertite e hanno cominciato a parlare di comunità, territorio e sostenibilità. Se prima bastava il nome oggi il rischio invece è vedersi rubare il campo e perdere identità. Oggi la situazione del Covid mette una grande carta in mano all'economia sociale per tornare ad acquisire centralità e identità perché quelle parole che erano abusate oggi assumono un significato estremamente concreto e vero. È come se un giocatore stesse giocando a Wimbledon e stesse perdendo male. Ma durante la partita cominciasse a piovere. Per chi perde a Wimbledon la pioggia è un'opportunità. Ma va sfruttata.


Il 3 e il 4 febbraio al Campus, sarà possibile conoscere come Fondazione Triulza insieme ad alcuni partner sta già cercando di sperimentare alcuni di questi approcci più innovativi verso l'innovazione a 360° delle imprese sociali e delle realtà del terzo settore. Concretamente nel progetto "Miracolo a Milano" finanziato da Fondazione di Comunità Milano onlus le 18 cooperative e startup sociali partecipanti sono state coinvolge in un articolato programma formativo curato da Unipol Gruppo su temi strategici come la gestione del rischio per le imprese sociali, macro trend emergenti e scenari futuri, la persona al centro della transizione tecnologica, il touch point digitale, il marketing e la comunicazione social applicati alle imprese che erogano servizi alle persone.

Partner del programma culturale. Il Social Innovation Campus è promosso dal comitato scientifico della Social Innovation Academy di Fondazione Triulza in MIND – Milano Innovation District. Partner del Programma Culturale 2021 sono organizzazioni, realtà e aziende di ambiti e settori molto diversi tra loro cui: Arexpo, Lendlease, IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Fondazione Human Technopole e Università degli Studi di Milano, in qualità di official partner e realtà operative nel sito MIND come Fondazione Triulza; Coopfond – Confcooperative, Fondazione Bracco, Fondo Sviluppo-Legacoop, UniCredit e Unipol Gruppo, main sponsor dell'iniziativa; Gruppo CAP-Fondazione CAP, Planet Smart City e Umana, sponsor.

La seconda edizione del Social Innovation Campus ha ricevuto il sostegno e il contributo della Regione Lombardia e il patrocinio della Città Metropolitana di Milano e del Comune di Milano.

Content partner dell’iniziativa sono: ACRA, Altro Consumo, BEEurope, Cariplo Factory, CASYE-Erasmus+, CDO Opere Sociali, CGM, CSR-IS il Salone CSR e dell’Innovazione Sociale, CSV Net Lombardia, CSV Milano-Voce, Distretto 33, Enaip Lombardia, European Commission – JRC, Factory Cariplo, Fondazione Cariplo, Fondazione di Comunità Milano Onlus, Fondazione Italiana Accenture, Fondazione Social Venture Giordano Dell’Amore, Italia Circolare, Legambiente Lombardia, Lita.co, Net, Valore Italia e WeWorld. CVing, Mimesi, House 264 e TechSoup Italia sono sponsor tecnici. Vita Non profit, mediapartner.

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.