Sport oltre il business

Calcio, sei squadre su dieci non hanno una strategia di sostenibilità

Molti Club fanno beneficenza, tutti hanno una “squadra special” dedicata al mondo della disabilità e alcuni si distinguono per la continuità dei loro interventi. Ma la vera sfida sarà la trasparenza: non latitano solo i report e le misurazioni d’impatto, spesso mancano le info di base sui siti. Spunti dalla quinta edizione di “Csr in Serie A” firmata da Community Soccer Report

di Nicola Varcasia

Se il Nino di Francesco De Gregori non doveva aver paura di sbagliare un calcio di rigore, le squadre di Serie A un po’ di timore dovrebbero mantenerlo. Il tiro dal dischetto in questione, però, non è quello dagli undici metri, sul quale continuerà a regnare l’incertezza. Riguarda l’impegno dei Club nelle attività di sostenibilità ambientale e, soprattutto, sociale. Il tema, oltre che a un numero crescente di tifosi sta molto a cuore anche a VITA che, da due anni, promuove lo “Scudetto della sostenibilità sociale”. Una lettura trasversale dei report di sostenibilità (se presenti) e dei siti dei Club del campionato per la stagione sportiva di riferimento, con un focus sulla Csr.

Dati e storie

Risulta perciò assai preziosa la quinta edizione di “Csr in Serie A”, un’indagine sull’impegno per la sostenibilità dei 20 club della massima divisione calcistica italiana promossa e realizzata dalla piattaforma Community Soccer Report: «L’obiettivo è da sempre quello di alimentare un dialogo sul tema basato su evidenze ed elementi oggettivi, validati dal fatto che queste informazioni sono prese direttamente dai canali ufficiali dei club.

Un modo per far emergere la capacità delle squadre di comunicare e diffondere il proprio impegno», spiega a VITA Stefano D’Errico, autore del report assieme a Valentino Cristofalo e Alessandro Colombo.

Gioco difensivo

Qualcosa si muove rispetto allo scorso anno: «Si osserva una crescita – sia pur minima – del numero di società con una formula chiara ed individuabile che regoli l’impegno per la sostenibilità. Non sempre una strategia vera e propria, che sarebbe l’ideale, ma quantomeno strumenti che provino a interpretare l’argomento con maggiore specificità. Crediamo sia qualcosa di imprescindibile e, per questo, la leggera crescita individuata è incoraggiante. Ma siamo ben consapevoli che il resto del movimento si debba adeguare», spiega ancora D’Errico.

Dov’è il piano?

In particolare, si legge nel report, ad oggi otto società di Serie A seguono formule più chiare e visibili, dimostrando oltre che grande consapevolezza, anche pianificazione, trasparenza e intenzionalità specifica. Di contro, circa il 60% delle squadre rimane ancora sprovvisto di un piano strategico individuabile che favorisca continuità e coerenza nelle sia pure numerose e interessanti iniziative, ad oggi ancora troppo caratterizzate da frammentarietà e visione a breve termine.

I “gol” ci sono

Da un punto di vista del numero delle iniziative il responso è positivo: «Come lo scorso anno “sociale batte ambiente”, abbastanza nettamente. Ora è importante cercare di dare maggiore continuità e struttura alle iniziative, troppo spesso isolate e velocemente esauribili.

Non tanti Club, in altre parole, sembrano optare per progettualità che abbiano continuità per tutta la stagione, ad esempio, magari con lo stesso gruppo di beneficiari per ambire a generare un reale impatto positivo. L’approccio più comune sembra rispondere più al “marketing sociale” che non alle logiche di generazione d’impatto. Da notare, sempre in questo senso, un numero di Club con fondazioni benefiche o veicoli simili ancora davvero molto basso rispetto al resto dell’Europa», aggiunge D’Errico.

Poche fondazioni

In serie A, di fatto, sono presenti solo quattro fondazioni, in un paio di casi è presente un Progetto speciale, mentre per quattordici squadre su venti non è presente (o per lo meno non viene reso noto) alcun tipo di veicolo per l’impegno sociale. Rimanendo sul piano sociale, emerge sempre più l’importanza del movimento delle “Squadre Special” che si conferma come il vero (e forse unico) progetto concreto di respiro nazionale della Serie A. Tutti i Club sono infatti impegnati nel promuovere e sostenere il calcio paralimpico e sperimentale.

Stefano D’Errico, tra gli autori del report sulla Csr in Serie A

Questo anche con attività extra campo e, sempre più spesso, con soluzioni per facilitare l’accessibilità dei tifosi con disabilità all’esperienza partita: nel report si contano otto club con iniziative specifiche, in qualche caso inserite in programmi strutturati e con una identity specifica.

Campo sociale

Il report presenta anche numerose best practice. Ad esempio, quelle di Fondazione Milan, della Juventus con lo storico percorso con Save the Children e di Generazione S del Sassuolo (quest’anno non in serie A), programma di attività educative, sportive e solidali, pensato per i giovani del territorio. Nel portfolio dell’Inter spicca invece la collaborazione con il Centro Sportivo Italiano, mentre l’Udinese ha una sezione del proprio sito dedicata al Blue Energy Stadium per presentarne le soluzioni green applicate, un caso più unico che raro in Italia. Tutte le squadre, dal Lecce con il progetto Us Lecce Love al Genoa, con il suo Porte aperte al Ferraris, alla Roma al Bologna, al Napoli hanno almeno un motivo di vanto. Ma, come vedremo, il punto sfidante è un altro.

Gioco di squadra

Una domanda molto interessante a cui il report risponde riguarda la natura dei partner con cui le squadre collaborano per iniziative di sostenibilità, posto che praticamente il 100% dei Club ha in atto almeno una collaborazione: per il 14% si tratta di realtà sportive del territorio, per il 40% con enti privati, per il 5% con enti locali. Nel 19% dei casi il riferimento è all’esperienza con la propria squadra speciale, nel 3% è coinvolta un’istituzione educativa, con un restante 19% suddiviso tra vari partner. Tra le tematiche più trattate: inclusione (45%), solidarietà e beneficenza (19%), educazione (17%), parità di genere (7%), salute e benessere (4%), antirazzismo (3%), rigenerazione della comunità (3%).

L’erba non è poi così green

Una tirata d’orecchie arriva rispetto ai temi ambientali: «L’analisi sull’impegno green segue più o meno lo stesso andamento, con azioni presenti (pur in maniera minore rispetto al sociale, come detto) ma ancora troppo caratterizzate da approccio frammentario. Un dato emblematico ci dice che l’80% delle iniziative di economia circolare e riduzione delle emissioni è associabile ai 7 Club dotati oggi di una formula specifica che regola il lavoro per la sostenibilità ambientale», aggiunge D’Errico.

Cercasi report d’impatto

C’è un punto che apre il dibattito sull’evoluzione e la maturità dei club: «La questione della trasparenza è stata e sarà un altro tema decisivo. Il tema non è solo riguardo al bilancio di sostenibilità, rispetto al quale attualmente ci sono solo 2 Club con un bilancio pubblicato. Mi riferisco anche alla necessità di dover essere più specifici nel comunicare il proprio impegno. È difficile recuperare informazioni dettagliate sull’impatto delle iniziative, o anche solo le loro intenzioni. Con la Csrd, la cui applicazione impegna sostanzialmente tutte le squadre, sarà fondamentale fare questo passo in avanti», conclude D’Errico.

Fair play finanziario

Andrebbe infine ricordato che la prima sostenibilità, per un’azienda, è quella economica. Se i conti non sono in salute – o non si intravede la prospettiva per migliorarli – diventa difficile progettarne il futuro, anche dal punto di vista sociale e ambientale. Questa elementare verità, che sta alla base di ogni business sano, sembra sfuggire alle aziende del calcio che conta. Il 70% delle società della serie A, infatti, ha chiuso l’ultimo bilancio in perdita. Negli ultimi cinque anni, complice anche la pandemia, le cose non sono andate meglio. Tuttavia, le società di calcio seguono spesso logiche che sfuggono alla calcolatrice. E così, i “generosi” proprietari dei grandi club, siano essi imprenditori, fondi, o famiglie, si trovano a ricapitalizzare per evitare ulteriori sconquassi, con inevitabili implicazioni anche rispetto al cosiddetto fair play finanziario. Ma questa, se non è proprio un’altra storia, è almeno un altro campionato.

Foto in apertura di Adria Crehuet Cano su Unsplash

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.