Politica

Calcio: il mio Chievo maschio ma non cattivo

Parla Corini, capitano del Chievo che guida a sorpresa il campionato di serie A. di Nicola Calzaretta

di Redazione

Non sapevo che qualcuno proponesse la classifica dei giocatori più fallosi. Ma a proposito qual è la mia posizione?» Il curioso è Eugenio Corini, capitano del Chievo capolista. La sua è una curiosità fondata: vuole rispondere, anche con dati statistici, a chi accusa la squadra rivelazione di essere una squadra di ?picchiatori?. «Mi sono sembrate esagerate le definizioni che negli ultimi tempi ci sono state date», spiega Corini. «Il nostro è un gioco che si basa sulla velocità, sull?organizzazione tattica e sulla determinazione. È così che si possono fronteggiare gli squadroni. Certo, commettiamo dei falli, come tutte le altre squadre. E poi attenzione: il gioco maschio non è sinonimo di cattiveria». Il mediano del Chievo ricorda poi che qualcuno ha puntato il dito contro il numero delle ammonizioni : «È vero, ne abbiamo prese tante: ma quante di queste sono riferite ai falli commessi? Solo Lupatelli, il nostro portiere (che gioca con il numero 10, ndr) ne ha prese due per perdite di tempo. Il fatto, a mio avviso, è un altro». Si interrompe per un secondo e noi gli facciamo un assist: vuoi dire che è finito l?effettosimpatia? «All?inizio indubbiamente c?è stato», replica Corini. «In fondo, ciascuno di noi è portato a parteggiare per il più piccolo. Poi, però, sono arrivati i primi successi e, addirittura, il primo posto. Insomma, abbiamo rotto le scatole a più d?uno. Risultato: effetto simpatia scemato e accuse di praticare un calcio troppo agonistico. In più c?è la netta sensazione che alla prima entrata decisa veniamo subito puniti». Non c?è vittimismo nelle parole di capitan Corini. C?è, piuttosto, il desiderio di dire le cose come stanno, senza ipocrisie, nel tentativo di sfatare luoghi comuni che, specie nel calcio, diventano etichette che non riesci più a rimuovere. «Quello di mettere delle etichette è uno dei mali peggiori, non solo nell?ambiente sportivo», afferma. «C?è troppa superficialità nel giudicare e, talvolta, malafede. In estate non si è fatto altro che parlare del miracolo Chievo. Niente di più falso. Qui c?è gente seria e competente che lavora e programma, altro che storie». Le etichette. Anche lui ne ha avuto una appiccicata addosso fino a poco tempo fa. È per questo che ne conosce gli effetti devastanti: «A 17 anni ho esordito in B con il Brescia», ricorda, «e tre anni dopo sono andato alla Juventus. C?era Maifredi, un allenatore di grande valore, a mio parere. Su di me c?erano molte aspettative, anche in chiave azzurra. Purtroppo non sono riuscito a sfondare. Ed ecco la definizione di promessa non mantenuta. Solo adesso, a trent?anni, mi sono scrollato di dosso questo fardello». Ma Corini non si nasconde dietro un dito: «È stata anche colpa mia. Certo, nel conto vanno messi anche due gravi infortuni. Ma tant?è: quando ti hanno bollato è dura risalire. Il calcio corre in fretta e così, come si fa presto a essere definito un campione, con la stessa velocità si finisce nell?anonimato. Io ci ho creduto, fino in fondo. E poi c?è stato l?incontro con il Chievo». Lo scorso anno il giocatore, che sta attendendo la nascita del secondo figlio, ha inanellato 31 partite segnando 6 gol: è diventato l?anima del Chievo assieme a D?Anna, Corradi, Manfredini e a quel D?Angelo che si è fatto tutta la gloriosa cavalcata: dalla C2 del 1989, alla vetta della classifica della Serie A conquistata dopo la vittoria sul Parma. Lo provochiamo ricordandogli che lui e i suoi gialloblu dell?altra Verona hanno fatto tremare anche la Juve. « Sul 2-0», dice Corini, «stentavo a credere a quello che stava succedendo. Il primo gol ce lo ha regalato Buffon, ma il raddoppio è stato il frutto di una stupenda azione. Peccato per quel rigore dubbio del 3-2». Corini e i suoi non si pongono limiti, adesso. E poi a giugno ci sono i mondiali. Ci pensi, il Trap: in fondo capitan Eugenio è anche più giovane di Baggio!


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