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Calcio e tifo? Servono regole certe. Chi sbaglia deve pagare

Il presidente del CSI, Vittorio Bosio, interviene sul dibattito che da settimane si sta consumando intorno al calcio e al tifo organizzato. Dall'incontro di Salvini con gli ultras del Milan, passando per la morte di Daniele Belardinelli a Milano fino ai casi di razzismo negli stadi italiani. «È un problema educativo. Bisogna far fare sport ai ragazzi. E serve certezza della pena»

di Lorenzo Maria Alvaro

Poco prima di Natale Matteo Salvini si era presentato alla festa della Curva del Milan facendosi immortalare con un noto pregiudicato. Qualche settimana dopo arriva la partita Inter – Napoli. Nei pressi dello stadio hanno lugo degli scontri e un tifoso neroazzuro, Daniele Belardinelli, rimane ucciso investito da un'automobile. Durante il match invece il difensore del Napoli Kalidou Koulibaly viene bersagliato dai fan avversari e si riapre il file razzismo. In pochi giorni il calcio italiano è tornato nell'occhio del ciclone. «Sono problemi che non se ne sono mai andati perché non sono mai stati affrontati. La verità è che la situazione è sempre la stessa. Ma certe volte fa più notizia del solito», sottolinea il presidente del CSI Vittorio Bosio intervistato da Vita.it.




Violenza, razzismo e criminalità. Il tifo italiano è di nuovo al centro dell'attenzione…
Ciclicamente assistiamo a episodi come quelli di questi giorni. Non c'è da stupirsi. Non sono mai stati affrontai. Succedono cose come queste ogni domenica. A volte però, in particolare se ci scappa il morto, gli episodi fanno più notizia di altre. Così ci si indigna. Ma tutto rimane uguale a prima.

È un problema di regole che mancano?
Certamente si potrebbero rivedere le regole. Ma più che altro il grande problema in Italia è l'incertezza delle pene. Altrove chi sbaglia paga. Qui non si sa. Questo, è del tutto evidente, è un circolo vizioso che deve finire. Chi a Milano ha partecipato agli scontri era noto alle froze dell'ordine e spesso anche già colpito da Daspo.

Quindi il tifo organizzato si affronta con regole e forze dell'ordine?
No, quelle servono certamente. Ma la violenza del tifo è principalmente un problema educativo.

E come si affronta un problema educativo?
Innanzitutto cambiando le pene. Invece di bandire dai campi e dagli spalti quei tifosi o giocatori che hanno epsressioni violente cominciamo a farli obbligatoriamente arbitrare. Sono certo che questo avrebbe un grande impatto. Non c'è un antibiotico per questo male. Ma di certo far fare ai ragazzini sport sin da piccoli è un buon vaccino. Questo in un colpo risolverebbe due problemi: cesserebbe la violenza sugli arbitri ma anche il reperimento di fischietti per le partite giovanili.

Eppure tutto rimane fermo. Di chi è la responsabilità?
Certamente c'è una grandissima responsabilità dei dirigenti del calcio italiano, sia a livello federale che di club. Ogni domenica assistiamo a polemiche infinite contro gli arbitri e contro gli avversari. È ora di smetterla.

E invece il razzismo? È legato con la violenza o è un discorso a parte?
Fa parte dello stesso probelma. Ma io non credo si tratti di razzismo. Il problema è come si vive il rapporto con l'avverasario sportivo. Oggi il tifoso vede le altre squadre e gli altri tifosi come nemici. Non è razzismo perché i giocatori di colore della mia squadra sono idoli mentre quelli delle squadre avversarie vengono insultati. Anche qui è un problema cutlruale che si può debellare solo facendo giocare i bambini. Basti pensare che al CSI avevamo il problema opposto, i ragazzi di colore delle nostre squadre all'inizio erano protetti e tutelati. Troppo. Ma col tempo sono diventato compagni e basta. Nessuno che ha un compagno di colore va a fare i cori razzisti allo stadio.

Per chiudere in tutto questo la politica che fa?
Poco o niente. Speriamo che la volontà di riscrivere le regole e renderle certe porti ad un sistema migliore. Ma possiamo solo aspettare per saperlo.

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