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Calcio di re-inizio a Sarajevo, in Bosnia con Damiano Tommasi

Calcio & solidarietà. È un progetto delle Acli per fornire strutture sportive per i ragazzi delle zone devastate della guerra. Il primo impianto è stato realizzato in Kosovo.

di Barbara Fabiani

Sono nati quando i cecchini sono scomparsi dalle colline intorno a Sarajevo. Non hanno conosciuto la città dell?integrazione ma neanche quella delle granate, i piccoli calciatori che ora fanno ressa intorno ad un pallone nel palazzetto dello sport di Skenderija, nella capitale bosniaca. Avranno cinque o sei anni al massimo, e traboccano di quella vitalità di cui questo paese ha bisogno.
Poi scendono in campo gli adulti: Damiano Tommasi, Eusebio di Francesco, Amedeo Mangone, Gigi Di Biagio, Daniele Dellicarri, Diego De Ascentis e alcuni calciatori dilettanti veronesi; li ha portati qui l?Unione Sportiva Acli e l?ong Ipsia a ?giocare per la pace? contro una rappresentanza di calciatori bosniaci con la maglia del ?Bubamara? , la coccinella, una squadra di Sarajevo. La partita è uno degli eventi principali di una campagna di raccolta fondi per realizzare impianti sportivi nei territori della ex Jugoslavia.

Un palleggio in centro
“E’ bastato il tragitto dall?aereoporto alla città per capire dove siamo. Sarajevo non è una città come le altre”, dice Tommasi ed ha ragione. Accanto alle piste di atterraggio passava la linea del fronte e per i quattro anni dell?assedio questa città ha vissuto solo angoscia, paura e un allucinato fatalismo scosso solo dall?istinto di sopravvivenza. E tra tutti è proprio quest?ultimo sentimento ad aver vinto. Lungo la strada che unisce quella che era la linea del fuoco alla città tutto parla di resistenza e di volontà di rinascere. Gli uomini hanno trasformato le rovine in monumenti storici, come la sede del giornale Olslobodenije (Libertà) una torre bruciata e per metà crollata, effetto di quaranta giorni di bombardamenti durante i quali i giornalisti, rifugiatisi nella stamperia sotterranea, continuarono a pubblicare. Sulle colline da cui arrivavano le pallottole oggi spuntano numerose le abitazioni con i tetti spioventi. Sono rimasti ancora molti scheletri di case lungo la strada, abbandonate perché troppo devastate, perché il proprietario è senza risorse o perché non c?è più alcun proprietario. Questi precari equilibri di muri sventrati sono accerchiati da nuove case, nuove finestre (alla fine della guerra non c?era un vetro sano in tutta la città), nuovi colori alle facciate. Chi più chi meno ricostruisce. Chi più, chi meno?.. dipende dalla capacità di adattamento alla fase storica del dopoguerra. Bastano quattro passi nel centro storico, per fortuna sufficientemente lontano dalle colline da essere abbastanza preservato, per capire che Sarajevo rinasce su una frizione di energie, positive ma instabili. Lungo la via del passeggio, come la chiameremmo noi, ricompaiono le botteghe per turisti (piene di chincaglierie che sembrano recuperate dalle macerie), birrerie tipiche ben arredate dove si è ben serviti, gioiellerie con l?artigianato in filigrana d?oro, negozi di abbigliamento alla moda, tra cui Benetton (evviva l?ottimismo liberista) e dentro ognuno di questi locali si attardano funzionari dell?onu e di altri organismi internazionali, operatori umanitari, e quelli tra i bosniaci che hanno resistito meglio alla guerra; gli altri occhieggiano o non frequentano affatto. «Sarajevo milionaria», direbbe Edoardo de Filippo.
Cosa succederà quando gli stipendi internazionali non sosterranno più l?economia di questa città? Cosa succederà se il turismo non sarà sufficiente a riempire questi negozi, non pochi dei quali messi in piedi con capitali non del tutto limpidi? Quale sarà la rete di salvataggio?

Prima vittoria a Stubla
«Noi vogliamo contribuire alla rinascita di questo territorio non solo dal punto di vista materiale ma anche umano», dice Tommasi a nome degli altri giocatori alle autorità del posto venute a salutarli. «Questo nostro gesto serve più a noi perché ci fa capire la portata di questa iniziativa di solidarietà». Ritessere le forze della società civile bosniaca e dei balcani, è questo il vero scopo del progetto delle Acli. I centri sportivi e i campetti di calcio sono gli strumenti e i luoghi destinati a catalizzare le risorse umane di questo paese in risalita. Il miracolo sta già prendendo forma a Stubla, in Kosovo al confine con la Macedonia, dove dal novembre scorso i ragazzi possono giocare in un centro polivalente realizzato con i 31milioni delle ?multe interne? della Roma , tra cui quelle sborsate da Tommasi e da Di Francesco, presenti anche in quell?occasione ad inaugurare il posto.
Per allargare il progetto ad altre città si è deciso di cominciare da Sarajevo fornendo attrezzature per permettere a disabili e mutilati di guerra di praticare sport, e dare una mano anche ai giocatori su sedia a rotelle della Speed la squadra di pallavolo che a soli sei anni dalla fine della guerra ha vinto il campionato europeo e ha conquistato l?argento alla paraolimpiadi di Sidney.

Via ai gemellaggi

Uno degli scopi del progetto è di incoraggiare i gemellaggi tra la loro e la nostra società civile , come quello appena creato tra la polisportiva Virtus dal Colle di Verona e la Federazione sportiva disabili di Sarajevo. Se la raccolta fondi avrà una risposta generosa (servono 300 milioni) verranno realizzati altri 8 progetti in Bosnia Erzegovina, in Croazia, nella Repubblica federale di Jugoslavia e in Kosovo. Le lapidi non sono i mattoni che ricostruiranno Sarajevo, cerca di dire con lo sguardo questa gente ai visitatori che si accodano al mercato di Merkale – oggi di nuovo piena di banchi e di colori – per vedere il punto esatto della strage del pane. E non tutti i campi di calcio sono stati riempiti di tombe. La giornata finisce nel modo migliore, con una vittoria: Bubamara vs Italia-Acli, 6 a 5.

L?operazione in cifre
Un campo per i campionissimi della pallavolo a rotelle

Giochiamo per la pace è un progetto della Unione sportiva Acli e della ong Istituto Pace e Sviluppo Acli (Ipsia) per cercare attraverso il sostegno allo sport le condizioni propizie ad una ricostruzione della società civile nei Balcani. Il progetto prende avvio dall?esperienza della ricostruzione di una polisportiva a Stubla, in Kosovo, nei pressi di una scuola in cui studiano 350 ragazzi (costato 45milioni di cui 14 finanziati da Ipsia e Us Acli e 35 donati da USRoma). Sul modello Stubla si vogliono avviare analoghe iniziative anche a Sarajevo (dove verranno sostenute le organizzazioni sportive di disabili). A Kljuc vivono 18mila abitanti di cui il 40% ha meno di 35 anni e in tutta la municipalità non esistono centri attrezzati per attività ricreative. Jarmina, a pochi chilometri da Vukovar, è stato il primo villaggio ad essere distrutto nel 1992. Il lavoro di ricostruzione è intervenuto sulle case e sulle infrastrutture ma anche qui non esiste uno spazio dove i giovani possano riunirsi a giocare. I bambini dell?orfanotrofio Drinka Opavlovic di Belgrado hanno bisogno di un campo sportivo anche per rompere quell?isolamento sociale e di comunicazione che colpisce spesso chi ha perso la famiglia. A Nis, città serba duramente colpita dai bombardamenti del 1999, la guerra è finita da poco e la realizzazione di impianti sportivi può essere d?incoraggiamento ai giovani. Per tutti questi progetti sono stati coinvolti le municipalità locali e i Ministeri per la cultura e lo sport di Bosnia e di Croazia, oltre a organizzazioni italiane e internazionali già attive sul posto, tra cui ICS, Caritas e Jesuit Refugee Service. Per la realizzazione di “Giochiamo per la pace” servono 300milioni ma anche la partecipazione attiva di società sportive per avviare gemellaggi con gli impianti nei Balcani. Fino ad oggi hanno aderito l?Associazione calciatori, Banca Etica, Banca di Roma, Unione Industriali di Frosinone, il Roma club Tevere e la parrocchia di san Lino di Roma.
Info: USAcli 065840590
usacli@acli. it;
Ipsia 065840400
ipsia @acli.it

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