It’s just football. E’ solo calcio. Anche se chi lo gioca è non vedente. Dopo la cerimonia d’apertura di venerdì, a Loano in provincia di Savona comincia la nona edizione dei campionati europei di calcio a 5 per non vedenti categoria B1 (atleti totalmente ciechi) organizzata dalla FISPIC con la collaborazione di Panathlon International e della Fondazione Milan. Otto squadre divise in due gironi che si giocheranno il titolo e la qualificazione per i Mondiali del 2014. Spagna, Gran Bretagna, Germania, Francia, Russia, Turchia, Grecia e soprattutto Italia. Un’edizione in cui gli azzurri, padroni di casa, guidati in panchina da Luca Mazza, insieme agli assistenti Sauro Cimarelli e Pasquale Porciello, al preparatore atletico Filippo Bangrazi e al fisioterapista Andrea Longo, puntano al terzo posto, che sarebbe il miglior risultato della loro storia, iniziata con gli Europei di Manchester nel 2003.
Una disciplina, il 5-a side blind football molto popolare in Sudamerica e in Europa ma poco giocata in Italia. Due tempi da 25 minuti in cui si fronteggiano due squadre composte da 5 giocatori, 4 non vedenti e un portiere normodotato o ipovedente. Un gioco in cui non esistono i falli laterali (il campo sulle fasce è delimitato da sponde) e in cui si gioca con un pallone sonoro. Ragione per cui vale la regola: “silenzio quando la palla è in gioco”, anche se ogni giocatore che entra in possesso di palla deve dichiararsi, cioè avvisare compagni e avversari di avere la palla.
In Italia il calcio a 5 per non vedenti vive soprattutto del campionato che nel 2012-2013 ha visto la partecipazione di 6 squadre con la vittoria dell’Ascus Lecce. Una situazione di “nicchia”, spiegata bene da Luca Mazza, allenatore di calcio per non vedenti da 15 anni (“l’ho conosciuto grazie a mia sorella che lavorava in un istituto per ciechi e me ne sono subito innamorato”) e tecnico della Nazionale dal 2008. “E’ un problema di soldi, strutture e bacino d’utenza – racconta Luca, romano di Montesacro – per la crisi qualche squadra non si è iscritta al campionato, non ci sono sponsor e in Italia manchiamo completamente degli impianti per il nostro sport. Con i ragazzi ci adattiamo, ma a volta non basta”. “In più – gli fanno ecco Pasquale Porciello e Sauro Cimarelli – non c’è più il serbatoio degli istituti per ciechi, dove i ragazzi non vedenti si avvicinavano al calcio, ora i genitori preferiscono mandare i loro figli a fare altri sport considerati meno pericolosi”.
Molte differenze, economiche e di visibilità con il calcio dei normodotati, ma poco rispetto al gioco vero e proprio. “Gli allenamenti e le partite- spiega Luca Mazza– sono molto simili a quelle normali, le situazioni che proviamo e che vogliamo fare in campo sono le stesse, ovviamente a ritmi diversi”. “Con un po’ di lavoro e di esercizi– gli fa eco il preparatore atletico Filippo Bangrazi – i ragazzi fanno le stesse cose dei loro colleghi normodotati e per loro questa è una grande conquista”. Fondamentale allenando i non vedenti è soprattutto il rapporto con gli allenatori. “Noi siamo i loro occhi e le loro guide in campo – racconta Pasquale che ha appena conquistato il settimo scudetto con il Lecce– ci ascoltano e noi dobbiamo dare delle indicazioni, pensando come penserebbero loro”. Un grande lavoro che tutto lo staff ha imparato con anni di esperienza. “Abbiamo fatto un corso UEFA un paio di anni fa- spiega Sauro, romano di Centocelle che prima di diventare allenatore giocava da portiere – ma la maggior parte delle cose le abbiamo apprese stando con loro. Anzi si può dire che molte cose ce le hanno insegnate loro”.
Il calcio a 5 per non vedenti in Italia e della nazionale azzurra è soprattutto la storia di dieci ragazzi. Liguri, marchigiani, pugliesi, lombardi. Come Massimo Cervelli, attaccante, goleador e capitano della Nazionale. Lui è il veterano, da quando esiste la selezione azzurra, cioè dagli Europei di Manchester 2003 lui c’è sempre stato. “Ho cominciato con il calcio per non vedenti quando avevo 13-14 anni – racconta dopo una sessione di “tiri liberi” – ma già da bambino avevo il pallone sonoro e giocavo nel giardino di casa mia”. Le prime partite dimostrative, i campionati con l‘Ascus Lecce e dopo qualche anno la maglia azzurra. Fino a Loano. “Speriamo di fare una bella figura nel nostro Paese– spiega Massimo – e mi auguro un bel risultato magari per raggiungere i Mondiali di Rio dell’anno prossimo”. Il veterano e l’esordiente. Come Nicola Mauro. Lui fino a poco più di una settimana fa era a casa sua. Poi la chiamata per l’infortunio di Fabrizio D’Alessandro. “Mi sono avvicinato a questo sport tre anni fa– racconta Nicola, studente di giurisprudenza – attraverso un gruppo di amici dell’Unione Italiana ciechi che già giocava”. Di ruolo laterale (“gioco sempre di fianco alla sponda” racconta), Nicola è emozionato. “Rappresento il mio Paese e speriamo di batterci con grintà e tenacia anche se partiamo sfavoriti”. Un risultato che potrà essere raggiunto anche grazie al gruppo, indicato da molti come la forza della squadra.
Un gruppo di 10 giocatori, di cui fanno parte anche Mariano Ciarapica e Flavio Di Malta, i due portieri. Il primo, della provincia di Ascoli Piceno, ha scoperto il calcio per non vedenti grazie a un amico. “Un giorno mi ha chiesto se volevo giocare una partita – racconta mentre cerca di spiegare ai ragazzi come sia fatto lo scatolone che contiene i palloni – e io ci sono andato. E da quel momento non ho più smesso”. Il secondo, giocatore anche del Liguria Calcio ha cominciato per puro caso. “Mio padre allenava e un giorno, 7 o 8 anni fa, alla sua squadra mancava un portiere per un torneo a Parigi. Sembrava una cosa passeggera e invece… Sono i due portieri, insieme ai tecnici a dover guidare i compagni non vedenti in campo. E lo fanno con urla, incitamenti e indicazioni, i suoni che insieme a quello del pallone sono la colonna sonora di un sport affascinante.
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