Economia

Calabria: una trincea chiamata cooperazione

Calabria: in tutta la regione la rete delle coop crea lavoro, impresa, legalità. La criminalità se ne è accorta...

di Redazione

Il dado è tratto. Sarebbe cieco liquidare come ordinari avvertimenti mafiosi i due recenti attentati contro la Frutti del Sole, una piccola azienda calabrese che occupa 80 lavoratori stagionali, nata e cresciuta nel deserto della Locride. Dietro l?avvelenamento di 12mila piantine di lampone e il successivo tentativo di incendiare le serre dell?impresa si nasconde infatti «la lucida disperazione degli avversari dello sviluppo del Mezzogiorno», come sostiene Carlo Borgomeo, amministratore delegato di Bagnolifutura ed ex ad di Sviluppo Italia. Non è un caso che sia finita nel mirino proprio la Frutti del Sole. Questa azienda costituisce infatti un nodo cruciale di una rete di cooperative e imprese sociali sociali fiorite sotto l?ala protettrice di padre GianCarlo Bregantini in una delle zone a più alta densità criminale d?Europa. L?ex prete operaio di Marghera, attuale vescovo di Locri-Gerace, in 12 anni ha consentito lo sviluppo di un consorzio, che oggi si chiama Goel e aderisce al circuito di Cgm, in grado di offrire lavoro a 650 ragazzi e a fatturare 862mila euro l?anno. Nessuno storca il naso. Questi quaggiù sono numeri eccezionali. Lo dice la statistica. In Locride vive una comunità di 140mila abitanti dove tre ragazzi su quattro non trovano la possibilità di lavorare in modo legale (mentre a livello regionale la disoccupazione giovanile è ?solo? del 56,75%). Ma lo dice anche il buon senso. Basta sentire le riflessioni, amare, di un imprenditore illuminato e sensibile come il presidente della Confindustria regionale, Filippo Callipo: «Impiantare un?attività in Locride? Nessun privato mai ci proverebbe». La Locride, insomma, è un buco nero. È la Calabria nella Calabria. Ma da oggi è anche la roccaforte della resistenza di chi si rifiuta di alzare bandiera bianca nell?unica regione italiana senza un?industria con più di 500 addetti. Dove su cento impiegati, 54 lavorano nel pubblico o in società miste a maggioranza pubblica (in Lombardia sono 12, in Veneto 11). Dove il 42% delle famiglie vive in stato di povertà o semipovertà e la precarietà sociale riguarda 750mila persone su una popolazione che supera di poco i 2 milioni. «Il lavoro del consorzio Goel è paradigmatico di quello che bisogna fare al Sud: un percorso in cui si batte la cultura della dipendenza, in cui si investe sul proprio lavoro e sul proprio sacrificio», ragiona Borgomeo, secondo il quale la ricetta vincente deve seguire «un percorso in cui si cercano partner e non padroni; in cui si declinano progetti e non lamentose rivendicazioni; in cui il territorio non è un terminale cui far confluire agevolazioni che, intermediate dalla politica, diventano favori, ma la leva dello sviluppo». Le spalle di Bregantini per quanto larghe, però, non avrebbero potuto sostenere il peso di una sfida di portata storica. Con il passare degli anni il vescovo si è scoperto sempre meno solo. L?esempio è servito. È diventato paradigma. La via cooperativa allo sviluppo si è trasformata in un?autostrada. A testimoniarlo sono ancora una volta i numeri. Quirino Ledda, responsabile regionale di Legacoopsociali, si coccola le sue 75 cooperative sociali sopravvissute alla cesoia di un bilancio regionale che «destina alla spesa sociale meno dell?1%». Soddisfatto anche il suo collega Gianni Romeo, presidente di Federsolidarietà Calabria, che ha visto le sue associate passare dalle 163 del 2001 alle 510 del 2004. In crescita anche Cgm – Consorzio Gino Mattarelli che in Calabria ormai conta un centinaio di cooperative, fra sociali e non, 81 imprese, 1.315 occupati e un fatturato aggregato di 16 milioni 260mila euro. Al calcolo dell?economia sana vanno aggiunti i 30mila addetti e i 1.500 iscritti alla Cdo calabrese, fondata da Antonio Saladino che oggi guida la Need di Lamezia Terme, prima società italiana ad applicare il project management al settore, capace di occupare in poco più di un anno 13mila persone, 5mila nella punta dello Stivale. Come c?è riuscito? «Creando una rete e offrendo lavoro e non il posto fisso». Insomma, in Calabria sempre di più impresa significa impresa sociale. «In alcune zone possono arrivare solo le cooperative, nessun altro», ribadisce Callipo, «Bregantini ha messo la sua bandiera nel cuore della malavita organizzata, dove tutto deve restare fermo, immobile. Perché se si crea ricchezza, se si crea economia che dà alla gente un reddito, si sottraggono giovani all?arruolamento nella malavita». Ma c?è di più. La sopravvivenza di Goel ha gettato un sasso nello stagno non solo nell?economia e nella società civile, ma anche nella Chiesa locale. Katia Stancato è la responsabile regionale di Confcooperative: «Al centro della piana di Sibari, monsignor Domenico Graziani, vescovo di Cassano allo Jonio, sta raccogliendo il testimone di Bregantini e attraverso la Fondazione Rovitti ha promosso un network di imprese agroalimentari». Il dado è tratto. Da Locri la Calabria ha incominciato a immaginarsi un futuro diverso. E possibile.


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