Economia

Calabria: chi non alza bandiera bianca

Fanalino di coda nelle classifiche di sviluppo e con una spesa sociale da terzo mondo, in punta allo Stivale crescono solo gli omicidi. Ma c’è chi ogni giorno combatte una battaglia che sembra persa

di Redazione

A elencare le statistiche che fanno della Calabria la regione più arretrata del Paese verrebbe da alzare bandiera bianca: il tasso della popolazione attiva è al 45%, la più bassa dello Stivale, 10 punti in meno della media nazionale. La disoccupazione generale al 23,4% e quella giovanile al 56,75%, con punte del 60% a Vibo Valentia e 71% a Reggio Calabria, sono tristi record europei. E ancora, in base ai dati forniti dal segretario regionale della Cisl, Luigi Sbarra, la Calabria esporta solo lo 0,1% della quota nazionale. Infine, questa è l?unica regione senza un?industria con più di 500 addetti.

Ma i soli numeri non rappresentano con fedeltà il caso Calabria. A rendere l?orizzonte più fosco, se possibile, è «la totale assenza del pubblico». La denuncia arriva da Quirino Ledda, ex vicepresidente del consiglio regionale (la stessa carica che ricopriva Francesco Fortugno) e attuale responsabile regionale di Legacoopsociali, cartello che riunisce le 75 cooperative sociali di Legacoop. «La spesa sociale nel bilancio regionale prende meno dell?1%. Il che equivale a una quota pro capite di 30,1 euro, contro i 45,8 della Campania, i 110,3 della Sardegna e i 501 del Trentino; 269 comuni su 409 non hanno un assessorato alle politiche sociali». Risultato? Il 42% delle famiglie calabresi vive in stato di povertà o semipovertà, la precarietà sociale riguarda 750mila persone su una popolazione che supera di poco i 2 milioni di abitanti e un tasso di omicidi sette volte superiore alla media nazionale. «Quella dei reati per mafia è una delle poche classifiche in cui guardiamo tutti dall?alto in basso», chiosa Sbarra.

Fine delle trasmissioni? Neanche per sogno. In Calabria sopravvivono forze sane che per una volta hanno scelto di uscire allo scoperto.

Rose fra le spine
Vita è scesa nella punta dello Stivale per ascoltare le loro voci. Con una doverosa premessa, suggerita da Mario Nasone, responsabile del Centro comunitario Agape e del Centro servizi per adulti di Reggio Calabria: «Non illudiamoci che l?intera società civile sia impermeabile a qualsiasi infiltrazione mafiosa». Rimane il fatto però che dopo l?omicidio Fortugno la scossa è arrivata da una parte ben precisa della comunità. E proprio grazie a una serie di iniziative promosse dal terzo settore locale, il mese di
novembre potrà segnare una tappa sul cammino della lotta alla criminalità.

Mai da soli
«Le tragedie non sono le opere dei malvagi, ma l?inutilità dell?opera dei buoni». Antonio Saladino, fondatore della Cdo regionale, ricorre a una dotta citazione per indicare quello che lui stesso definisce «un ritardo antropologico». La Cdo qui è una realtà che conta 1.500 iscritti e 30mila addetti. Saladino oggi è presidente della Need di Lamezia Terme, la prima società italiana ad applicare il project management al settore lavoro, che in poco più di un anno di vita ha occupato 13mila persone, 5mila nella sola Calabria. «Qui i giovani non cercano il lavoro, ma il posto. Sono nato in un piccolo paese: da una parte avevo la caserma e dall?altra la casa del boss. Io però non sono diventato né sbirro, né mafioso. I calabresi devono capire che si può essere altro». Come? «Mettendosi in rete. Se una mamma mi chiede una mano per il figlio malato, la metto in contatto con il San Raffaele di Milano. È un piccolo caso, ma è anche la dimostrazione concreta di come si possa guadagnare la fiducia della gente».

Network è la parola magica che accende anche Sergio Principe del progetto Policoro, che grazie alla Cei ha attivato un fondo di 250mila euro da destinare alla formazione di 40 giovani imprenditori che vedranno finanziate le loro start up con un contributo unitario di 10/15mila euro. «Questa iniziativa creerà almeno 120 posti di lavoro. Saranno tutte imprese responsabili». Quanto alla politica Saladino e Principe viaggiano sullo stesso binario. «Non è questo l?ostacolo maggiore» dice il primo. «L?importante è guadagnarsi uno spazio di autonomia», gli fa eco il secondo.

Di diverso avviso Katia Stancato, responsabile di Confcooperative e Federsolidarietà, una colonna portante del mondo cooperativo calabrese che, secondo il rapporto 2005 di Unioncamere, nell?ultimo anno è cresciuto di 159 unità, portando il numero delle cooperative a 2.282, ovvero l?1,5% sul totale delle imprese regionali, dato che supera, anche se di poco, il peso del mondo cooperativo sull?imprenditoria italiana (1,4%). «Il modello cooperativo è vincente perché è solidale e collegiale. Detto chiaramente: per noi è più facile affrontare la ?ndrangheta che per un imprenditore solo», spiega la presidente prima di puntare l?indice «contro istituzioni che non hanno alcuna sensibilità. Qui il costo del denaro è tre volte superiore rispetto ai colleghi dell?Emilia Romagna. Se non ci fossero le Banche di credito cooperativo potremmo chiudere domani». La Regione? «La FinCalabria, società pubblica al 51%, esiste da anni, avrebbe dovuto contribuire alla capitalizzazione delle imprese regionali. Mai vista».

Un sassolino dalle scarpe se lo vuole levare anche Francesco Cosentini dei Centri di servizio al volontariato della Calabria. «Saremmo dovuti partire nel 2001», dice, «ma le delibere regionali per quattro anni sono rimaste nei cassetti, così l?attività è cominciata solo da pochi mesi». «Purtroppo la politica troppo spesso cova l?illusione di potersi servire della mafia», aggiunge Vincenzo Linarello, presidente del consorzio Goel aderente al circuito Cgm, che in Calabria rappresenta 152 imprese con 1.315 occupati. La presenza dello Stato è cruciale anche per Nasone: «Non è possibile che nel Reggino ci siano solo cinque centri di aggregazione sociale per una popolazione di 700mila abitanti. La ?ndrangheta per trasportare la droga al Nord offre ai ragazzi stipendi da 5mila euro, si prende cura dei parenti dei carcerati e dei morti ammazzati. Noi cosa abbiamo da dare in cambio?».

Comuni senza coraggio
Una carta vincente, secondo Francesco Rigitano dell?associazione Libera, sarebbe potuta essere la riqualifica sociale dei beni confiscati alla mafia, resa possibile dalle legge 109/96 che, proprio in questi giorn,i rischia di venir modificata. «Purtroppo però», denuncia Rigitano, «a causa spesso della lentezza dei Comuni che non osano sfrattare i mafiosi, in 10 anni in Locride un solo edificio è stato messo a disposizione delle associazioni e in tutta la regione non arriviamo nemmeno alla decina».

Bregantini? Questa volta proprio non lo capisco
Parla Tonino Perna, economista e sociologo

Economista e sociologo, con cattedra a Messina e a Reggio Calabria, scrittore, ex presidente del comitato etico di Banca popolare etica, nel 1983 fondatore del Cric, il Centro regionale d?intervento per la cooperazione, e da poco ex presidente del Parco nazionale dell?Aspromonte (durante il suo mandato gli incendi sono diminuiti del 90%), Tonino Perna incarna la coscienza pulita della Calabria.
Vita: Qui, più che in Italia, sembra essere in Colombia…
Tonino Perna: Siamo molto più simili all?Ungheria del socialismo reale che al Sud America.

Vita: In che senso?
Perna: La pubblica amministrazione ha un peso enorme. Su cento persone che lavorano, 54 sono impiegate nel pubblico o in società miste a maggioranza pubblica. In Lombardia sono 12. In Veneto 11. Chi controlla il settore statale controlla il potere. Un caso unico in Italia che ha almeno due spiegazioni.

Vita: Quali?
Perna: Qui negli anni 50 c?era una rete impressionante di piccole e medie imprese. Agroalimentare, minerali non metalliferi, legno, ceramica, tutte produzioni legate al territorio. In 20 anni la concorrenza delle altre regioni ha spazzato via 4mila aziende. Il mercato genera vinti e vincitori. Noi siamo gli sconfitti. Così si è radicata la convinzione che il lavoro legale non migliora la vita. Poi bisogna constatare che solo i mafiosi, attraverso il controllo del territorio, si sono dimostrati capaci di conquistare i mercati internazionali. Qui la politica ha grandi responsabilità.

Vita: Il vescovo di Locri, Bregantini sostiene però che non bisogna tagliare i ponti con la politica. Concorda?
Perna: Questo è un ragionamento che non capisco. L?omicidio Fortugno è il frutto dell?ostinazione del centrosinistra a voler vincere le elezioni a tutti i costi. Malgrado una buona fetta della società civile calabrese, a partire dai rettori delle università, avesse chiesto un codice etico nella compilazione delle liste. E invece il centrosinistra nella Locride è passato dal 35% al 70. In una zona a forte controllo mafioso uno spostamento di voti così massiccio significa che è stato stipulato un patto con la ?ndrangheta e Loiero lo sa bene. La mafia ti dà i voti, ma poi pretende qualcosa in cambio. Il suo appoggio non è gratis. Ovvio.

Vita: Come è possibile uscire da questo circuito?
Perna: Solo se i partiti saranno disposti a perdere piuttosto che acquistare voti dalla ?ndrangheta.

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