Sostenibilità

Calabresi malati di “dendrofobia”

di Redazione

Può sembrare strano, ma c’è un posto dove si nutre un’avversione viscerale nei confronti degli esseri più inermi, silenziosi e generosi del mondo: gli alberi. Eppure ai bambini delle elementari si insegna che bisogna rispettarli, si fanno fare ricerche su Internet e in qualche caso, per loro, si organizza una festa. In Calabria invece si preferisce “fare la festa” agli alberi. A sud del Pollino la fisiologia vegetale sembra funzionare all’incontrario: qui le piante “tolgono l’aria”, sottraggono prezioso ossigeno e producono anidride carbonica, provocano frane e smottamenti, insudiciano il terreno con i loro rifiuti (foglie, frutti), creano fastidiose zone d’ombra impedendo alle automobili di ricevere i raggi solari che rendono gradevoli gli abitacoli soprattutto nei mesi estivi. Per non parlare poi dei danni che arrecano ai marciapiedi! Per cui, per mettere quattro mattonelle nuove, è giusto buttare giù un patriarca di cento anni.
Ma non è tutto: gli alberi nascondono, coprono, limitano l’attività più amata dal popolo calabrese curioso ed esibizionista: guardare ed essere guardati, sapere degli altri e far sapere agli altri di sé. Dalla nascita al cimitero. In una regione dove ognuno «mira ed è mirato e in cor s’allegra», dove tutto si mette in mostra, dove, se fosse possibile, si gioirebbe pure del proprio funerale come momento di protagonismo, un elemento che crea separazione, che impedisce all’occhio di spaziare sulla strada sottostante o nella casa di fronte, non può che essere osteggiato.
C’è chi ha protestato perché non si vedeva l’insegna o l’automobile sotto casa e persino chi, sempre a causa degli alberi, non poteva salutare la dirimpettaia. Sempre in Calabria poi gli psicoanalisti hanno dovuto coniare un nuovo termine per descrivere la sindrome depressiva che colpisce una buona parte della popolazione: la dendrofobia (dal greco dendròs, albero e phobia, timore). Non passerà molto che i medici, per debellare il “male oscuro” saranno costretti a prescrivere «l’abbattimento di elementi arborei nel raggio di un km e soggiorno in zone desertiche». E chissà che con questa cura non torni la gioia e la voglia di vivere?

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