Periferie
“Caivano non è persa”, un focus book per raccontare come il Parco Verde può rinascere
Il Parco Verde, in provincia di Napoli, è uno dei luoghi più degradati del Sud Italia, diventato una delle piazze di spaccio più grandi d’Europa. Qui vivono 6mila persone che sono state abbandonate dallo Stato. A loro, e alle realtà del Terzo settore che lavorano nel Parco, abbiamo chiesto cosa bisogna fare per costruire un futuro diverso e lontano dallo stigma sociale a cui sono costretti gli abitanti: lavoro onesto, progetti per i minori, più servizi per i cittadini. Una rinascita è possibile, ma può passare solo dalla strada della collaborazione
di Anna Spena
È un’isola nel niente, dai confini invisibili e blindati: dal Parco Verde di Caivano non si entra e non si esce. E questa linea trasparente, tra il dentro e il fuori, ha un nome. Si chiama “la frontiera”, glielo hanno dato gli abitanti di Caivano, dove il Parco è nato. Caivano è un comune a Nord di Napoli, poco meno di 38mila abitanti. Tra loro anche i seimila, e oltre mille sono minori, che vivono nel Parco, considerato una delle piazze di spaccio più grandi di tutta Europa. Ma guardiamolo bene, mettiamolo a fuoco con lo sguardo: in quell’isola c’è vita. E no, o almeno, non è solo quella che ci raccontano.
Il Parco è stato aperto nel 1981 ed è nato per dare una casa a chi una casa non ce l’aveva più dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980. Un Parco figlio del terremoto e presto diventato anche il figlio dell’incuria, dell’assenza dello Stato, della mancanza dei servizi, della non educazione. Il Parco Verde è una montagna che è cresciuta per sottrazione. Nel Parco c’è una chiesa, un bar e una macelleria. Un presidio medico veterinario e un istituto comprensivo. Solo questo, poi il deserto.
«Quello che emerge dalla lettura di questo book», ha scritto nella sua introduzione il direttore di VITA, Stefano Arduini, «non è una ricetta. Ma un metodo. Il metodo dello stare e dell’ascoltare. Un approccio lungo e paziente. Nulla a che vedere con l’allarme sicurezza o l’emergenza criminalità (se mai questi termini possono avere un senso in un luogo che vive questa condizione da 43 anni). Ascoltiamo allora fin da subito una voce del Parco Verde. Lo dicono le famiglie, lo dicono gli insegnanti, lo dicono gli operatori sociali: quello che fa la differenza, quello che può fare la differenza fra il prima e il dopo è la moltiplicazione di questo “esserci”».
Abbiamo parlato con chi nel Parco vive da quasi quarant’anni, come Enzo e Anna, 74 e 70 anni, che ci hanno raccontato: «Qui non servono pattuglie dei carabinieri, o almeno non solo. Qui serve lavoro onesto, sostegno ai genitori che da soli non riescono a crescere i figli. Serve anche finirla con il racconto che ci descrive come criminali, non siamo criminali».
Abbiamo parlato con chi nel Parco c’è nato, come F. «Il Parco Verde non è solo quello che si pensa da fuori. Tiene un sacco di problemi, ma qua siamo tutti brava gente. Spero in un futuro migliore, ma non solo per me, pure per gli altri che ci vivono. Il Parco Verde è come un fiore il mese di marzo, deve essere annaffiato, deve sbocciare».
Abbiamo incontrato i presidi dell’Istituto Comprensivo Parco Verde 3 e dell’istituto Superiore F.Morano che sono all’interno e adiacenti al Parco. E ancora le realtà del Terzo settore che lavorano nel Parco. Come “Un’Infanzia da Vivere”, fondata nel 2008 da Bruno Mazza. Bruno ha 42 anni, è un ex spacciatore, un ex detenuto. «Dopo il terremoto ci hanno portati qua, doveva essere una soluzione provvisoria. Le strade non erano asfaltate, le case non avevano ancora le finestre, eravamo piccoli, non c’era niente, e dovevamo vivere la noia». Mazza dice proprio così: “vivere le noia”. E la sua, e dei tanti come lui, l’ha riempita la criminalità organizzata. «Non dovevamo essere lasciati da soli, nelle strade. Lasciarci da soli, a me e ai ragazzi come me, ha segnato i nostri anni successivi: io, per esempio, sono entrato e uscito di galera».
Qui l’indice dell’instant book, che gli abbonati di VITA possono scaricare gratuitamente a questo link.
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Nel 1998 Bruno viene arrestato: «La polizia mi fermò per strada, avevo una pistola addosso. Dovevo fare una “stesa” (ammazzare una persona ndr) per un pareggiamento di conti di camorra. Per fortuna quella persona non l’ho mai trovata. Dopo l’arresto vengo portato a Poggioreale per la detenzione». Nel 2008 Bruno esce di galera, ma quando è fuori si guarda attorno. E “quell’attorno”, non gli piace, non tanto per lui, ma per i nuovi bambini che sono nati nel Parco, e per gli adolescenti che erano bambini quando lo spacciatore era lui: «Ho fondato un’associazione», dice. «L’ho chiamata “Un’infanzia da Vivere”. Ho fondato l’associazione perché osservavo i bambini che iniziavano a fare le stesse cose che facevo io. Allora gli serviva quell’alternativa che non ho avuto io».
Oggi l’associazione ha una sede tutta sua, ovviamente dentro il Parco Verde. La struttura è del comune, che la lascia in comodato d’uso gratuito ad Un’Infanzia da Vivere. Nel 2010 l’incontro con Fondazione con il Sud ha dato linfa nuova al lavoro di Bruno, in qualche modo, non solo ne ha sostenuto economicamente i progetti, ma ha messo ordine. Doposcuola per i bambini, tornei di calcio, corsi di cucina. Qui, nel Parco Verde, queste attività si caricano di un valore simbolico e concreto diverso. Qui, al Parco Verde, niente è scontato come fuori. Nell’isola del Parco Verde anche l’associazione fondata da Bruno Mazza era un’isola. Ma poco alla volta sta diventando un arcipelago: «Prima c’eravamo solo noi, che però siamo nati qui», dice Cristina Giordano, responsabile dei progetti. «Negli ultimi anni anche associazioni che non hanno la sede dentro il Parco, hanno deciso di entrarci dentro».
Abbiamo incontrato gli educatori dell’associazione Uisp (Unione Italiana Sport per tutti) Campania, insieme ad altri partner, tra cui Phoenix Caivano, Pallacanestro Jirafa Caivano, l’associazione Patatrac, e certamente anche Un’Infanzia da Vivere ha messo in piedi il progetto “La bellezza necessaria”. Alessandro Petrillo è il responsabile di tutta l’iniziativa: «Quando siamo arrivati», racconta, «in una zona del Parco, una distesa di cemento abbandonata, abbiamo costruito un campetto sportivo polifunzionale». Petrillo si muove con dimestichezza tra le vie del Parco. La vocazione dell’associazione Uisp è chiara: lo sport come strumento di integrazione, educazione, supporto. Ma qui è tutto diverso: «Sono bambini cresciuti in un contesto delicato. Non basta andare lì e dire “ecco questo campetto è per voi. Potete giocare a calcio, basket, tennis o pallavolo. Non basta alzare la mano e ricordargli che la legalità è meglio dell’illegalità. Perché tu sei “l’estraneo che arriva da fuori” e che poi se ne va».
O ancora i responsabili del progetto “Oceani in Costruzione”, selezionato dall’Impresa Sociale Con i bambini, promosso dall’associazione Traparentesi, che propone laboratori di teatro e arte terapia, e ora sta lavorando per aprire, entro il prossimo anno, una ludoteca pomeridiana per famiglie residenti dell’area del Parco Verde, per i minori da zero a sei anni, che sarà gestita dall’associazione Un’Infanzia da Vivere.
Le conclusioni del book le ha scritte Stefano Consiglio, presidente di Fondazione Con il Sud, la prima vera realtà a credere nella rinascita del Parco Verde. «Per riuscire a vincere la sfida della concretezza», ha spiegato, «è necessario un intervento che faccia tesoro degli errori del passato. Nessun attore sia esso lo Stato centrale, l’ente regionale, l’amministrazione locale, la scuola, la chiesa, il mondo del Terzo settore e del privato sociale è in grado da solo di dare risposte adeguate alla sfida complessa che abbiamo di fronte. La collaborazione tra attori pubblici e tra questi ed il mondo del Terzo settore e delle imprese non è un’opzione, ma la sola strategia in grado di dare una risposta concreta ed efficace. Spesso l’approccio collaborativo è invocato ma non praticato perché richiede tempo, maturità politica, pazienza».
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